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A Girl Walks Home Alone At Night: la vampira in chador di Bad City

Bad City, un Iran più o meno distorto, dove si intrecciano storie di droga, prostituzione, miseria e degrado umano. È questo il luogo dove la regista Ana Lily Amirpour decide di ambientare il suo primo lungometraggio, A Girl Walks Home Alone At Night. Il film racconta di una vampira senza nome che pattuglia le strade desolate di una città senza giustizia. La protagonista si muove continuamente in cerca delle sue prossime vittime, le segue, studia i loro comportamenti e decide se finirli o meno.

Quello che vediamo non è però una carneficina senza senso, dove a perire sono innocenti che non riescono a scampare al male. Al contrario, ogni omicidio ha il suo perché. Chi viene fatto fuori non può essere recuperato, non ha possibilità di redenzione, soprattutto perché costituisce un pericolo molto grande per l’incolumità di altre persone. È per questo, ad esempio, che la vampira decide di ammonire in tempo un ragazzino che sembra stia per prendere una cattiva via, dandogli così la possibilità di salvarsi in tempo, spostandosi sul fronte del bene.

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La protagonista di cui non sappiamo il nome (interpretata dall’attrice Sheila Vand), vive in una casa senza finestre, al riparo dalla luce e dal contatto con gli altri. A farle compagnia decine di immagini alle pareti e musica a metà tra britpop reinterpretato all’iraniana e synthwave.

Come ogni personaggio di fantasia che si rispetti, anche la protagonista ha una sua divisa. Ciò che sceglie è un chador, abbastanza aperto da diventare il classico mantello da vampiro, che le garantisce di muoversi inosservata per Bad City. Inoltre, una maglia a righe, kajal nero, rossetto marcato. A completare il look uno skateboard trovato per strada, con il quale la vampira di sposta per sorvegliare i malviventi e proteggere i deboli.

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Durante una delle sue esplorazioni solitarie, la vampira si imbatte nel giovane Arash, eroe imperfetto della storia, un ragazzo che decide di iniziare a spacciare per guadagnare così abbastanza soldi da aiutare il padre, caduto in disgrazia – emotiva e monetaria – dopo la morte della moglie. Nel corso del film lo vediamo più volte alla guida della sua Ford Thunderbird in maglietta bianca e jeans, come una sorta di James Dean. I due iniziano una storia d’amore delicatissima, che non ha quasi bisogno di dialogo, ma solo di lenti gesti e sguardi intensi.

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La cornice geografica di questa storia dal ritmo dilatato è una sorta di Iran extraterritoriale, un “non luogo” a tratti irreale. Le riprese, per le quali è stato scelto un bianco e nero molto intenso, sono state fatte a Taft, città della California, che con i suoi impianti industriali e desolazione notturna ha fornito l’ambiente adatto alla realizzazione di questo lungometraggio.

A supportare l’impianto visivo c’è una colonna sonora, che in certi momenti suona come quella dei film di Jim Jarmusch, ma che ci dà anche l’opportunità di avere assaggi di musica iraniana contemporanea, probabilmente figlia della diaspora o di una gioventù che sogna di contaminarsi con generi conosciuti a livello internazionale. Il film è stato girato interamente in farsi e l’intero cast ha origini iraniane, come ad esempio la protagonista, irano-americana di seconda generazione o Arash Marandi (Arash), che risiede ad Amburgo.

Anche la giovane regista fa parte della stessa comunità di iraniani in esilio. Nata in Inghilterra e cresciuta negli Stati Uniti, dove frequenta l’Accademia cinematografica in California, Amirpour inizia a dedicarsi al cinema all’età di 12 anni. La sua carriera conta finora numerosi cortometraggi, un fumetto (anche qui ritorna il motivo della vampira in velo) e, ovviamente, il film che abbiamo presentato, che in parte deve il suo successo alla partecipazione a noti festival del cinema come la Berlinale e il Sundance.

Ana Lily Amirpour

Ana Lily Amirpour

A Girl Walks Home Alone At Night (traduzione: una ragazza torna a casa da sola di notte) può essere interpretato come una sorta di provocazione rispetto alle rigide norme della teocrazia iraniana, che vieta alle donne di girare di notte non accompagnate (qui rimando ad un film di Shirin Neshat, Donne senza uomini, che affronta lo stesso tema, ma con un tragico epilogo). Ciò che vediamo riscatta però questa visione “classica” e infonde un senso di speranza, a chi guarda il film e forse anche a chi si trova a dover affrontare più o meno le stesse dinamiche ad una latitudine diversa da quella della Repubblica Islamica.


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