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Punire chi dice la verità: la terribile prigionia ...

Punire chi dice la verità: la terribile prigionia di Chelsea Manning

Now the news is your are spying
Executing without trial
[…]
Punishing the whistle blowers
Those who tell the truth
Do you recognize the yellow
staring back at you?

Ora la notizia è che sei una spia
Che condanni senza processo
[…]
Punisci chi informa
Chi dice la verità
La riconosci la codardia
che ricambia il tuo sguardo?

Hopelessness, l’album di Anohni uscito lo scorso maggio, è inframezzato da un brano intitolato Obama.
Quando ho letto per la prima volta i testi delle canzoni che compongono questo disco, non ho potuto fare a meno di ammirare la puntualità e la ferocia con la quale Anohni aveva descritto il contrasto tra il senso di esaltazione collettiva che accompagnò la campagna per le elezioni presidenziali del 2008 di Barack Obama e la consapevolezza, otto anni dopo, del “prosciugarsi della speranza dal suo volto”, nonché da quello di molte persone che avevano sostenuto fortemente la sua candidatura.

Hopelessness è brutale ed efficace perché non contiene traccia di giri di parole. Passa invece in rassegna una lunga serie di violenze approvate dall’amministrazione Obama, molte delle quali ci sono state raccontate con dovizia di particolari grazie alla divulgazione di centinaia di migliaia di documenti militari e diplomatici segreti o di natura sensibile ad opera della whistleblower Chelsea Manning.

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Grazie a lei, il pubblico internazionale ha avuto un accesso senza precedenti alle guerre in Afghanistan e in Iraq a partire dal 2004. Dai documenti diffusi attraverso i canali di WikiLeaks sono emerse informazioni su attacchi che hanno visto la morte di più di 66000 civili iracheni, sulla copertura di traffico di minori da parte di compagnie militari private, sull’arresto arbitrario di civili che sono stati poi reclusi a Guantanamo, sull’uccisione di due inviati della Reuters a Baghdad e il successivo occultamento di un video (noto come “Collateral Murder”) che lo ritraeva.

I documenti rilasciati attraverso WikiLeaks riguardavano inoltre attacchi segreti effettuati con droni in Yemen; l’appoggio del Dipartimento di Stato alle multinazionali che hanno contrastato una legge sul salario minimo per gli operai e le operaie di Haiti; e il falso supporto al regime di Ben Ali in Tunisia, che era stato a lungo ritenuto inattaccabile proprio grazie all’alleanza con gli Stati Uniti.

Chelsea Manning ha più volte confermato di aver diffuso questa enorme mole di materiale nella speranza che esso ci aiutasse a prendere decisioni informate, a chiedere riforme e, in particolar modo, ad aprire un dibattito sul ruolo delle forze armate negli Stati Uniti.

Come ha osservato Anohni in alcune interviste rilasciate in occasione del lancio del suo ultimo disco, chiunque paghi le tasse negli USA, a seguito di questo leak e di quello orchestrato da Edward Snowden, avrà avuto difficoltà a non ritenersi, almeno in parte, responsabile.

Lo stesso discorso vale per le violenze, finanziate dai versamenti dei contribuenti, alle quali Chelsea Manning stessa è stata sottoposta dal luglio del 2010. Dopo alcune settimane di fermo in Kuwait, infatti, la militare è stata messa in isolamento per dieci mesi presso il carcere di Quantico. Si è trattato della prima occasione in cui il suo trattamento ad opera dell’autorità è stato definito ascrivibile alla tortura.

Prima dell’arresto

Prima di essere arrestata, Manning lavorava come analista di intelligence per l’esercito. Dall’ottobre 2009, era in servizio in Iraq.

La sua scelta di arruolarsi in un corpo militare era stata dovuta, in parte, al desiderio di proseguire di studi, dopo un’infanzia e una giovinezza dominate da problemi familiari, dall’alcolismo dei genitori e da frequenti maltrattamenti ad opera dei suoi pari.

In seconda battuta, Manning aveva visto nell’esercito un contesto in cui poter superare la sua disforia. Entrando a far parte di un ambiente fortemente maschile, infatti, Chelsea sperava di poter diventare la persona che l’organizzazione si aspettava lei fosse; un uomo cisgender eterosessuale.

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Dal suo arruolamento all’arresto, Chelsea Manning ha operato sotto il regime di Don’t Ask Don’t Tell, un provvedimento che vietava alle persone apertamente gay, lesbiche e bisessuali di indossare l’uniforme. Nonostante questo, Manning, che all’epoca portava ancora un nome maschile, aveva rivelato al suo compagno di stanza di essere attratta dagli uomini. La risposta del collega, indicativa dello spirito dell’ambiente in cui si trovavano, era stata di non rivolgerle più la parola.

Nel corso delle operazioni militari in Iraq, Chelsea Manning aveva contattato un terapista a proposito della sua disforia, dichiarando di sentirsi donna. In quell’occasione aveva inoltre spiegato di non essere favorevole al tipo di guerra che si stava combattendo sotto i suoi occhi e alla quale doveva, volente o nolente, partecipare.

Il trasferimento a WikiLeaks dei documenti testimonianti innumerevoli violazioni di diritti umani e abusi di potere ai quali Chelsea aveva accesso ha avuto luogo nel gennaio 2010, ed è stato seguito da una serie di confidenze all’hacker Adrian Lamo, che in seguito l’ha denunciata alle autorità.

L’arresto e la condanna

Dal momento del suo primo arresto, Chelsea Manning è stata sottoposta diverse volte a trattamenti disumani, dall’isolamento prolungato al suicide watch, che prevede la rimozione dei vestiti e degli occhiali da vista, nonché la reclusione per 24 ore al giorno all’interno della propria cella.

Nel 2013 è stata condannata a 35 anni di carcere da scontare a Fort Leavenworth, in Kansas, e giudicata colpevole di 17 dei suoi 22 capi d’accusa. Manning si era precedentemente dichiarata colpevole di 10 di essi, spiegando in una lunga dichiarazione che il suo intento era stato quello di mostrare quali sono i veri costi e la natura delle guerre asimmetriche nel nostro secolo.

C_Manning_Finish-1Immediatamente dopo la sua condanna, Chelsea ha dichiarato pubblicamente di essere una donna e di aver iniziato una nuova fase della sua vita. Ha inoltre richiesto di iniziare una terapia ormonale e di essere chiamata con il suo nuovo nome.

Il 3 settembre, il team legale di Chelsea ha fatto domanda per il perdono presidenziale, che è rimasto però inascoltato. Ad oggi, l’amministrazione Obama è quella che ha avviato il maggior numero di azioni penali nei confronti di whistleblowers accusati di aver violato l’Espionage Act, risalente al 1971.

Nel corso del 2014, Manning ha ottenuto di poter cambiare ufficialmente il proprio nome, ma le sue plurime di richieste di iniziare la terapia ormonale non hanno dato risultati. Le prigioni militari, infatti, non sono attrezzate per il trattamento della disforia di genere, e la richiesta di trasferimento in un centro detentivo che offrisse questo servizio non è stata ascoltata.

Dopo una causa legale e molti mesi di attesa, Chelsea Manning ha ottenuto un parziale trattamento della sua disforia, nella forma di terapia ormonale, psicoterapia e la possibilità di indossare biancheria femminile. Le è stato invece vietato di farsi crescere i capelli.

Chi supporta Chelsea e chiede la sua scarcerazione ha potuto seguire le sue vicende e ascoltare i suoi pensieri seguendo il suo account Twitter e leggendo i suoi articoli per il Guardian o pubblicati su Medium. Tutto questo materiale non è pubblicato direttamente da Chelsea, alla quale è stato proibito di usare un computer e di navigare su internet, ma da alcuni intermediari che lo ricevono tramite dettatura o canali postali.

Chelsea Manning ha espresso più volte il desiderio di non essere abbandonata alla sua prigionia e ha invitato chi la supporta a scriverle.

Lo scorso luglio ci è giunta la notizia del suo tentativo di suicidio, dovuto alla mancanza di cure per la sua disforia di genere. A seguito di questo drammatico gesto, Chelsea Manning è stata condannata a due settimane di isolamento. L’accusa era di mantenimento di una “condotta che ha minacciato l’ordine e la sicurezza del carcere”.

Capro espiatorio?

Secondo Natasha Lennard, provvedimenti come questo lasciano trasparire il reale intento dell’esercito e delle istituzioni carcerarie. Dal suo punto di vista, Chelsea è stata tramutata in esempio per i potenziali whistleblower del futuro. Il controllo del suo corpo le è stato completamente negato, poiché la sua condizione prevede che esso appartenga allo Stato.

Immediatamente dopo la condanna, Manning è stata messa in isolamento per sette giorni, in barba al buon senso e ai tanti interventi di chi ha osservato che tale punizione non può che aggravare la depressione di una persona che ha appena tentato di togliersi la vita. I sette giorni di isolamento restanti sono ora in sospeso e potrebbero essere applicati indiscriminatamente in qualsiasi momento. In riferimento a questa condanna, Chelsea non ha avuto modo di fare ricorso e non ha ottenuto di essere seguita da un avvocato.

Il 9 settembre, Chelsea ha iniziato uno sciopero della fame per richiedere di poter intraprendere un percorso chirurgico per adeguare il suo corpo alla propria percezione di sé. Quattro giorni dopo, l’American Civil Liberties Union ha confermato la fine dello sciopero. L’esercito ha infatti acconsentito ad accettare le richieste di Chelsea.

Recentemente Chelsea Manning ha raccontato quanto sia difficile evitare di sentirsi costantemente impotente e senza speranze. “Non importa che c’è faccio. Il risultato sarà sempre lo stesso”, ha dichiarato a VICE News.

Nella canzone che dà il titolo ad Hopelessness, la disperazione diventa il veicolo attraverso il quale interrogarsi sulle proprie responsabilità e cercare nuove forme d’impegno che contribuiscano a modificare le situazioni che affliggono chi è oppress* e il nostro pianeta. Come Anohni, anche noi possiamo rispondere alla chiamata all’impegno di Chelsea Manning e darle supporto e speranza.

Ecco alcuni modi per aiutare:

Contribuisci al fondo per le spese legali di Chelsea

Firma la petizione per impedire l’applicazione dei 7 giorni di isolamento ancora in sospeso

Manda una lettera a Chelsea all’indirizzo:
CHELSEA E. MANNING     89289
1300 NORTH WAREHOUSE ROAD
FORT LEAVENWORTH, KANSAS 66027-2304
U.S.A.


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