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Istruzione, diritti e inclusione: il progetto Univ...

Istruzione, diritti e inclusione: il progetto Universitrans

Rispondere a un appello in classe è forse il primo atto attraverso cui ciascun individuo entra in contatto con la realtà scolastica (e in generale con la realtà dell’istruzione e delle regole di un gruppo) e questo lo accompagnerà nel suo percorso formativo fino al diploma, alla laurea e anche oltre. Chi ha intrapreso una carriera accademica lo sa: è probabilmente una delle circostanze della vita in cui si viene chiamati a qualificarsi con più frequenza, ad ogni esame. Se sembra un atto così semplice, è perché la vita sociale (e la burocrazia) ci hanno abituato così sin dalla prima elementare.

Cosa succederebbe però se il nome registrato sull’elenco non corrispondesse al tuo? Se ti sentissi chiamat* con un nome di un genere diverso rispetto a quello in cui ti identifichi? Come far capire che quella persona sei davvero tu?

Questa è la realtà (molto faticosa e avvilente) che vivono costantemente le persone transgender, che nella vita adottano un nome e uno stile di vita aderente al genere in cui si identificano, ma senza la possibilità di verbalizzarlo con il proprio documento personale. Nel quotidiano questo si converte in problematiche agli sportelli pubblici, quando si vota (dove vige ancora la divisione tra elettorato maschile e femminile) e, ancora più spesso, quando si frequenta l’università, insomma in tutte le situazioni che contemplano un iter burocratico.

Per venire incontro a questa problematica, da diversi anni nel mondo accademico italiano si è cominciato ad adottare la soluzione del doppio libretto, che consiste in una doppia attestazione di identità, quella formale e quella fattuale, ovvero il nome che la persona transgender ha scelto per se stess* e che risponde al genere in cui si riconosce. Il doppio libretto è ormai una prassi molto diffusa, ma rappresenta pur sempre una soluzione di emergenza che risponde a un vuoto burocratico, e che presenta alcune lacune.

Per cercare di colmare ulteriormente questa mancanza, nel giugno 2018 è stato lanciato il sito Universitrans, un progetto indipendente di tre professioniste che operano su base volontaria per sensibilizzare e informare rispetto alle tematiche trans all’interno del contesto universitario.

Il progetto è esito di una ricerca e di una mappatura degli atenei che ha coinvolto numerosi enti ed istituzioni (tra cui il MIT – Movimento Identità Trans e il Comune di Bologna, per citare i più noti) e si pone come obiettivo quello di aiutare studenti e studentesse trans che stanno affrontando un percorso di transizione di genere e che sono in attesa della rettifica anagrafica.

Come recita la stessa presentazione del sito, “si tratta del primo progetto nazionale di analisi e di mappatura digitale degli atenei pubblici italiani che offrono la Carriera Alias.” La Carriera Alias è appunto la grande innovazione che propone questo progetto e si pone come alternativa al doppio libretto. Si tratta di un profilo burocratico alternativo e temporaneo che sostituisce il nome anagrafico con quello adottato, almeno fino all’ufficiale rettifica anagrafica, e che comprende un badge e un indirizzo email con il nuovo nome. Come si spiega nel sito, “La Carriera Alias è uno strumento che sopperisce ad una lacuna giuridica che perdura da 30 anni.”

 

La legislazione italiana fino al 2015 prevedeva che le persone transgender non avessero possibilità di modificare le voci relative a nome e genere all’anagrafe, fino a che non fosse stato completato il cosiddetto iter di transizione (che si conclude con la riassegnazione chirurgica di genere). Tale prassi però è stata superata, attraverso lunghe battaglie e singole sentenze che sono riuscite a “strappare” deroghe a tali stringenti norme, fino alla sentenza n. 221 del 2015 della Corte di Cassazione, in merito alla rettifica dell’attribuzione del sesso. Ma se non è più necessario intraprendere l’operazione (e la conseguente sterilizzazione, come si fa spesso notare), il riconoscimento anagrafico è comunque a discrezione del giudiceCosì prosegue la spiegazione del sito stesso: 

“Il tempo che intercorre tra la richiesta di modifica dei dati anagrafici ed il raggiungimento di tale istanza va dagli 1 ai 3 anni. Questo tempo può essere dunque sufficientemente lungo da inibire la decisione di una/un giovane di iscriversi all’università e/o di continuare gli studi, così come da impedire ad una lavoratrice/un lavoratore di prestare la propria opera in un ambiente che non tutela il benessere e l’incolumità delle/dei propri dipendenti”.

In aggiunta, con questa modalità si rende difficile il riconoscimento del proprio nuovo nome sui documenti ufficiali a individui transgender che scelgono di non affrontare del tutto la transizione ormonale (non medicalizzati). Questo tipo di strumento, purtroppo,

“è valido esclusivamente all’interno dell’ateneo, realizzato attraverso la stipula di un accordo confidenziale tra ateneo e studente/ssa, e non estendibile a documenti ufficiali, come l’attestato di laurea, l’iscrizioni a tirocini, l’accesso a programmi erasmus ecc.”

Il bellissimo progetto si pone inoltre come finalità quello di mappare gli atenei aderenti e di creare materiale informativo, tra cui un’ampia sezione news e infografiche, per meglio raccontare ciò che avviene attorno a questa tematica, così scarsamente dibattuta nei media principali.


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