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Bisogna dare attenzioni alle ragazze che fanno fum...

Bisogna dare attenzioni alle ragazze che fanno fumetti

Uno dei rischi più grandi che si possono correre crescendo, è dimenticare che tipo di adolescenti siamo stati. Dimenticare com’è eravamo da giovani. Guardare alle generazioni dopo la nostra, a come vestono, a come parlano, giudicandoli magari ridicoli e senza speranza. In poche parole, uno dei rischi più grandi che si possono correre crescendo, è di diventare spocchiosi adulti senza cuore. Esattamente quello che non volevamo diventare quando avevamo 15 anni (e ascoltavamo musica grunge).

Capitolo 1: Giulia

Leggere un libro che parla di ragazze adolescenti (13, 14, massimo 15enni) può sembrare a chi non è più una ragazzina adolescente, o non lo è mai stata, una perdita di tempo. “Perché dovrei leggere qualcosa che parla della persona che non sono più?”, oppure “Perché dovrei comprare un libro che parla di ragazzine adesso che sono una persona adulta che stenta a trovare i soldi per l’affitto?” o ancora “Perché mai dovrei leggere un libro su persone con un genere diverso dal mio?”

Beh, molto banalmente, l’età delle protagoniste non intacca il valore di un’opera. Una “buona storia che parla di adolescenti” è una buona storia punto e basta (ebbasta, anzi). Nemmeno il genere delle protagoniste intacca nulla! Questi libri parlano di momenti di passaggio, di crescita, che sono cose che continuiamo a vivere anche da adulti. Continuano ad essere parte della nostra esperienza. Anche se non c’è più la scossa o l’emozione di quando certe cose succedevano per la prima volta (dare un bacio, partecipare a una festa, procurarsi un orgasmo, saltare la scuola), tornare all’emotività di quei momenti non può che farci bene. Ma questo l’avevano già detto meglio sull’Atlantic.

Da Torino con furore

Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano, fumetto edito da Eris Edizioni, sceneggiato da Francesca Ruggiero e disegnato da Eleonora Antonioni (al loro debutto come coppia creativa) è un’opera di questo genere, confezionata come un breve diario interamente coperto di disegno in outline a penna blu, nera, rossa e verde, che sulla copertina ha il titolo in formato attacca-stacca, come nel caro vecchio Cioè, riposizionabile a piacimento (alzi la mano chi aspetta la variant col gadget allegato *alzo*).

Come una sorta di Scott Pilgrim vs The World, tradotto però nella lingua dell’Italia berlusconiana, Non bisogna… è infatti un fumetto ricco di citazioni esplicite e non, alla musica, la televisione e il cinema di una decade, i Novanta, che ha segnato almeno un paio di generazioni in modo indelebile. Tutto filtrato attraverso gli occhi di tre adolescenti che non si conoscono, ma frequentano la stessa scuola.

A partire dalla dedica iniziale ad Alicia Silverstone e all’inventore della biro László József Bíró, l’intento delle due autrici è gioiosamente cristallino: prendere tutto il chiasso, il colore, la moda, del mondo rappresentato dalla star di Ragazze a Beverly Hills (Clueless, 1995) e disegnarlo con devozione per regalarlo all’audience italiana nella forma di un racconto corale di ragazzine in cerca della loro libertà e affermazione, a dispetto della timidezza, l’insicurezza e la rabbia inespressa tipica degli anni che stanno vivendo.

Un vero e proprio album di ricordi per chi è nato negli anni Ottanta: fatto di zaini Invicta, Titanic, Fiorucci, le trousse della Pupa, i walkman, le Spice Girls, Impulse Spice, Gwen Stefani e i No Doubt, ovviamente Mtv, Beavis and Butthead, Celebrity Deathmatch, Daria, Kris and Kris, gli Aerosmith, i Prozac+, Britney Spears, Bran Van 3000, Fatboy Slim, l’Arena, la Nike, la Puma, l’ombelico in vista e le felpazze. Un “rumore di fondo” che grazie al talento di Eleonora ci parla tanto quanto le giovani protagoniste del libro.

Capitolo 2: Anna

A dire il vero, che Antonioni amasse le strizzate d’occhio alle icone della pop culture del passato, non è un mistero per noi di Soft Revolution. Dopotutto nel 2015 aveva disegnato il nostro tema “incanto” riproducendo due bellissimi David Bowie e Jennifer Connelly in una scena del film Labyrinth (1986).

Per noi che oggi abbiamo trent’anni, è più naturale raccontare quel periodo della vita con i riferimenti che sono stati i nostri.

Come ha raccontato in un’intervista a Fumettologica, stava pensando da anni di realizzare un libro che le permettesse di omaggiare un’iconografia a cui era molto affezionata. L’occasione è arrivata con Ruggiero (già firma di numerosi racconti sulla rivista letteraria L’Inutile), che le aveva fatto leggere un racconto sull’adolescenza che intendeva pubblicare. Lavorandoci assieme – a Torino, città dove entrambe vivono da anni, dopo aver migrato dalle natie Roma e Legnano – hanno poi deciso di farlo diventare il fumetto di cui stiamo parlando ora.

Le ragazzine della storia di Ruggiero (non solo le protagoniste, ma anche tutto il corollario di personaggi secondari) non sono diverse dalle persone in carne ed ossa che abbiamo incontrato a scuola, alle feste di compleanno, in parrocchia o in palestra nel nostro passato.
Vogliono semplicemente essere “seen & heard”, viste e ascoltate da chi hanno intorno – coetanee, genitori, professori e love interest di turno. Sopportano atti di bullismo e si fanno calpestare il cuore pur di smettere di essere invisibili.

Capitolo 3: Clarice

Ciascuna delle 3 parti di cui si compone Non bisogna… racconta una storia specifica. Quella di Giulia, quella di Anna, quella di Clarice. Non tutte e tre sono coinvolgenti allo stesso modo (la prima parte, dedicata alla timida ed impacciata ragazza con gli occhiali che sogna di entrare nelle grazie della ragazza più popolare della scuola, segue un plot eccessivamente prevedibile) ma nei suoi momenti migliori, è una lettura coinvolgente, attenta e rispettosa dell’intelligenza e della sensibilità (e sì, anche della sfortuna) delle sue protagoniste, piccoli esseri umani imperfetti che pensano di conoscere tutto della vita, ma invece hanno ancora molto (e lo scopriranno) da “figuring out”.

Fondamentalmente non importa che tipo di adolescenza tu abbia avuto – né quando tu l’abbia vissuta (anni Ottanta? Novanta? Duemila?), leggendo Non bisogna… stai sicura che ci saranno almeno due o tre personaggi che parleranno di te. La lingua in cui è raccontato la conosci molto bene. Potresti averlo scritto tu? Forse. Di certo lo leggerai volentieri e non riuscirai a resistere alla tentazione di whatsappare un’amica per dirle che hai letto qualcosa che le ricorda voi due.


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