I nostri preferiti del 2017: musica

Quest’anno abbiamo guardato Sanremo con meno perplessità del solito, e abbiamo scritto del pregio delle sorelle Haim adesso e delle sorelle Boswell nel passato. Abbiamo lanciato un occhio alla musica classica scrivendo di Rebecca Clarke e abbiamo sculettato (e continuiamo a sculettare) con il nostro nastrone danzereccio.

Illustrazione di Marta Cubeddu

 

LCD Soundystem – American Dream

Di Roberta Ragona

Nonostante la sua copertina a cui mancano solo i watermark da immagine di stock di un cielo azzurro, il disco del ritorno degli LCD Soundsystem è un album bellissimo. Dieci canzoni che parlano delle cose che finiscono e dei cambiamenti. La fine delle amicizie, dell’amore, la morte dei propri idoli, perdere cose e trovarne altre. Accettare la nostalgia, ma senza abbracciarla.

 

Hurray for the Riff Raff – The Navigator 

Di Valeria Righele

Tenete bene a mente il nome Alynda Lee Segarra perché, dal momento in cui inizierete a familiarizzare con le canzoni degli Hurray for the Riff Raff, diverrà la vostra nuova eroina. La cantante di origini portoricane, fan di Woody Guthrie cresciuta nel Bronx di New York ma maturata musicalmente dopo essere approdata a New Orleans da adolescente, è infatti la pasionaria di cui c’era bisogno per affrontare questo anno di lotte e violente prese di coscienza.

Con The Navigator, sesto album della band, ha confermato il suo talento di compositrice politicamente impegnata: le canzoni parlano di spazi sicuri per la comunità DIY e queer, lotta alla gentrificazione, razzismo, minoranze emarginate, identità e rapporto con i propri avi. La “navigatrice” del titolo è una ragazza di nome Navita, che lascia la sua comunità per vedere il mondo e quando vi fa ritorno la trova devastata e frammentata. Il messaggio è potentissimo e la musica con cui viene veicolato – una combo di folk e americana – suona che è una meraviglia.

 

Lorde – Green Light

Di Martina Ioriatti

In assoluto una delle canzoni con più play in loop dell’anno, Green Light di Lorde ci ha salvati da infiniti momenti di disagio, inerzia e tristezza. Uscita in primavera, non ha ancora esaurito il suo potere salvifico: Green Light è la canzone di chi vuole andare avanti e lasciarsi il passato alle spalle, ma umanamente sa di avere ancora un pezzo di strada da fare. Anche se il cambiamento è nell’aria, Green Light è lo sprono a tenere duro con tanta dignità e stile.

 

Fever Ray – Plunge

Di Marta Magni

Io pensavo che quest’album fosse “solo bello” e poi ho letto l’intervista che Karin Dreijer ha rilasciato al Guardian e ho deciso che questo è l’album dell’anno, l’album che abbiamo ma non ci meritiamo, l’album di cui abbiamo bisogno, l’album per questi tempi. Ora voi fate partire To the Moon and Back, iniziate a leggere, e mi dite se non ho ragione.

 Sex is work, love is work, work is sex, work is love, the magical conversion of ‘is’ given impossible power by its delivery in music.

 

The National – Sleep Well Beast

Di Martina Ioriatti

Sleep Well Beast è un album dei The National, quindi di base da questo gruppo non ci si può aspettare gioia e glitter. Non ci si aspettava neanche però che il primo singolo Day I Die fosse un meraviglioso tormentone da radio, considerato che le lyrics sono un continuo interrogarsi sulla morte, su cosa si starò facendo il giorno in cui si muore, e su cosa faranno i nostri ex quel giorno. Eppure è successo: hanno fatto una canzone straordinariamente vitale, con un testo pieno di ironia e dramma esistenziale. Il disco intero oscilla fra intima oscurità e energetico tormento, ma lo fa con molta grazia e melodie epiche.

 

Plant Dad – Pansy EP

Di Margherita Ferrari

Se qualcuno mi chiedesse di fare una lista delle caratteristiche che vorrei trovare in un disco affinché esso mi risulti meraviglioso e degno di essere ascoltato centinaia di volte durante le mie lunghe trasferte in auto, direi: violoncelli sbilenchi, piante, non binarismo, pop à la Smiths, amore e stuoli di misogini “avvocati del diavolo” tra le fiamme dell’inferno. Tutto questo e non solo trova spazio nell’EP Pansy di Plant Dad, aka Morgan Potts. Applausi e valanghe di pregio.

 

SZA – Ctrl

Di Valeria Righele

Prima donna e artista R&B ad aver firmato per l’etichetta TDE, la giovanissima Solana Imani Rowe, in arte SZA, ha esordito quest’anno col suo primo album di studio Ctrl (Control), un disco che attendavamo in molt*, dopo che l’avevamo notata coi primi mixtape e le numerose collaborazioni con artisti mainstream come Kendrick Lamar, Chance the Rapper, Rihanna e Maroon 5.

Ctrl è l’onesto ed eccellente esito del suo tentativo di spiegare come la vita ruoti attorno al controllo, il voler averlo, il perderlo, il subire quello degli altri: questo ovviamente si esplicita nelle relazioni sentimentali (“I get so lonely, I forget what I’m worth / We get so lonely, we pretend that this works / I’m so ashamed of myself think I need therapy-y-y-y”) ma anche nel lavoro (“Run fast from my day job / Runnin’ fast from the way it was / Jump quick to a pay check / Runnin’ back to the strip club / I’m never going back) e nella crisi della generazione Millenials (“How could it be? / 20 something, all alone still / Not a thing in my name / Ain’t got nothin’, runnin’ from love / Only know fear”). Lei oltre ad avere un flow pazzesco è pure bellissima, andate a vedervi i suoi video partendo da qui:

 


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