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Sicurezza sui mezzi pubblici: l’esempio della piattaforma brasiliana “Maria, Maria”

Quando ho conosciuto Mariana Ozaki e Maria, Maria il caso Weinstein e il terremoto concettuale che avrebbe generato non era ancora neanche un’idea all’orizzonte; #quellavoltache non era partito, tantomeno #metoo o balance ton porc.

Non c’era ancora stata una valanga di testimonianze che facesse comprendere in modo inequivocabile quanto la molestia sia un problema pervasivo e trasversale che ha a che fare più con l’abuso del potere che con la sfera sessuale per sé, e quanti di quegli episodi di molestia venissero normalizzati come cose che capitano.

La molestia sui mezzi pubblici è un esempio di manuale di questo fenomeno a due facce, la normalizzazione dell’abuso e il victim blaming. È un’esperienza così comune che praticamente ogni donna ha una storia da raccontare, e la risposta a questa storia spesso è non starci a pensare, non puoi farci niente, fattici una risata, oppure com’eri vestita, che ore erano, che strada hai fatto.

I luoghi che abitiamo non sono uno spazio neutrale. Ci stiamo abituando a tenere in considerazione questa non-neutralità riguardo l’accessibilità da parte delle persone portatrici di disabilità, ma i luoghi pubblici sono anche un gendered space, uno spazio fruito in maniera diversa in base al proprio genere. Cambiano i servizi ai quali possiamo accedere (basta pensare alla questione delle leggi sull’accesso ai bagni pubblici per le persone transgender), cambia il maggiore o minore senso di sicurezza con cui li abitiamo e la maggiore o minore autonomia con cui ne possiamo fruire. Lo spazio viene esperito diversamente in base a età, genere, ruolo sociale, eventuali disabilità.

Il tema della sicurezza delle donne e persone gender-non-conforming sul trasporto pubblico va molto al di là del fatto materiale e ha a che fare con concetti più ampi e convinzioni culturali profonde, come il ruolo della donna, la visione patriarcale della società, e una forma più o meno strisciante di rape culture.

Maria, Maria Mariana Ozaki

‘A woman’s place is in the home’ has been one of the most important principles in architectural design and urban planning in the United States for the last century. “Il posto di una donna è la casa è stato uno dei principi più importanti nell’urban planning e architectural design negli Stati Uniti per tutto il secolo scorso scriveva Dolores Hayden nel suo saggio del 1980 What Would a Non-Sexist City Be Like?

L’identità di genere nella fruizione degli spazi pubblici ha molto a che fare con i ruoli rivestiti. Le donne hanno spesso pattern di spostamento diversi da quelli maschili per via delle funzioni sociali che ricoprono, dividendosi tra il lavoro e le necessità del nucleo familiare, dalla casa alla gestione dei figli. Molte più donne che uomini lavorano come freelance, non avendo quindi un percorso giornaliero definito casa-ufficio ma modificando i propri itinerari in base alle necessità. Inoltre, la differenza retributiva tra uomini e donne fa sì che le donne siano più spesso utenti del trasporto pubblico, un’alternativa più economica rispetto ad altre forme di trasporto.

Ultimately, transportation is the fulcrum that allows women to participate in the workforce.In definitiva, i mezzi di trasporto sono il cardine che permette alle donne di partecipare attivamente alla forza lavoro” dice Sonal Shah, urbanista dell’Institute for Transportation and Development Policy

A survey from the Safe and Sound report about women and transport. Image: FIA Foundation

Dati dal Safe and Sound report della FIA Foundation sulle donne e i trasporti

Il caso del Brasile

In Brasile questo aspetto non neutrale del trasporto pubblico è amplificato dalle grandi distanze, dal numero di pendolari che dalle campagne e le zone suburbane si muove verso la città e dalla grande concentrazione di persone negli agglomerati urbani.

Il modo in cui sono strutturati i trasporti sono dirimenti nell’esperienza quotidiana e nell’autonomia di milioni di donne. Una fermata dell’autobus poco illuminata o estremamente isolata, o all’opposto mezzi pubblici molto affollati in cui il molestatore può facilmente nascondersi fra la folla sono una realtà che condiziona la sicurezza e l’autonomia di milioni di donne. È partendo da tutte queste riflessioni che Mariana Ozaki, Service & UX Designer di origini brasiliane, ha immaginato un servizio che consenta di rendere più semplice e immediato sia da un punto di vista pratico che sotto l’aspetto del percorso emotivo la denuncia della molestia alle autorità competenti, per aiutare a cambiare l’attitudine generale verso la molestia non sono tra le donne ma nella società nel suo complesso.

La piattaforma è attualmente in fase di costruzione per arrivare a produrre un prototipo di minimum viable product, ma maggiori informazioni sul progetto si possono già trovare sul suo sitoMaria, Maria – questo il nome del progetto – prende il titolo da un brano del 1978 di Milton Nascimento e Fernando Brant che è stato un inno per il movimento femminista brasiliano.

Maria, Maria - Mariana Ozaki

A differenza di app di reporting e panic button, che si concentrano sulla reazione agli eventi e concentrano la responsabilità della reazione sulla persona interessata dalla molestia, Maria, Maria è un tool il cui obiettivo strategico è cambiare la percezione delle molestie nella società, lavorando sull’educazione e la sensibilizzazione, per modificare all’origine i comportamenti frutto della cultura dello stupro, trasformare il contesto in cui le persone vivono e agire alla radice del problema.

In Brasile – non solo in Brasile – molte donne non denunciano le molestie per via di una diffusa cultura di victim blaming, per cui la responsabilità della molestia viene addossata alla vittima anziché a chi l’ha perpetrata. Inoltre il processo di denuncia è molto lungo e burocratizzato, le forze dell’ordine spesso non sono attrezzate per accogliere questo tipo di denuncia, e molte donne non sono informate in merito alle leggi sulle molestie e cosa fare se dovessero riportare un evento del genere. In molte non riportano l’accaduto alle autorità perché non c’è una vera conseguenza alla denuncia, spesso tutto si conclude con un nulla di fatto. Inoltre il personale del trasporto pubblico non è formato per rispondere in maniera appropriata a eventi del genere, anzi spesso tende a minimizzare l’avvenuto e a screditare le denunce ricevute.

La capacità di mettersi al riparo delle molestie viene quindi completamente demandata alle donne stesse e alla loro capacità di mettere in atto atteggiamenti di autoconservazione, come scegliere posti dal lato del corridoio anziché dal finestrino per consentire la fuga in caso di molestie, scegliere una strada che allunga sensibilmente la tratta da casa al lavoro per evitare linee meno sicure, non uscire in determinati orari e tutta una serie di azioni che impattano sulla libertà di movimento e l’autonomia di milioni di donne.

Il tool è pensato per facilitare un sistema di prevenzione delle molestie che non ricada esclusivamente sulle vittime, per costruire un sistema di informazioni che consenta a uomini e donne di essere entrambi coinvolti nel cambiamento di atteggiamento, nella diffusione di informazioni, e nell’aiuto e sostegno reciproco.

 - Mariana Ozaki

Maria, Maria

Come dovrebbe funzionare Maria, Maria?

Il punto di partenza è la distribuzione di informazioni sul fatto che la molestia sessuale è un crimine punibile per legge, attraverso una campagna di comunicazione per raggiungere il maggior numero possibile di persone e in particolare gli utenti del trasporto pubblico.

La seconda fase del progetto riguarda la condivisione di storie e la creazione di un archivio che preservi le storie e i materiali, con l’idea di creare empowerment attraverso l’informazione e la narrazione, e la creazione di una comunità in grado di fornire supporto e uno spazio sicuro in cui fare domande e trovare risposta ai propri dubbi.

La proposta è di incoraggiare le donne a riportare l’accaduto e aiutare il passaggio dal racconto dell’esperienza alla denuncia alle autorità, contribuendo sia a dare una misura corretta dell’entità del fenomeno (su cui non ci sono numeri effettivi visto che molte donne non denunciano), ma anche a far sì che ci siano effettivamente delle conseguenze legali, per cui le leggi che puniscono le molestie e le violenze siano effettivamente applicate.

La collaborazione con le istituzioni è un aspetto fondamentale, nell’ottica di cambiare anche il modo in cui le forze dell’ordine si pongono nei confronti delle donne che riportano una molestia.

La piattaforma fungerebbe anche da collettore che metta in rete la messe di informazioni raccolte tra blog, forum, siti web, gruppi facebook e altri social media, un patrimonio immenso di informazioni però tende ad essere fruito da una nicchia di persone che sono quelle già interessate al tema.

L’ultima fase comprende la distribuzione di materiale informativo sul trasporto pubblico e nelle scuole, in collaborazione con illustratrici e fumettiste che si occuperanno di realizzare delle storie partendo dalle testimonianze raccontate all’interno della piattaforma, fornendo così uno strumento di immediata accessibilità che aiuti le ragazze a identificare le molestie come tali e ai ragazzi a riconoscere i comportamenti abusivi ed evitarli.

E in Italia?  

Dati del rapporto Istat 2008-2009 sulla sicurezza dei cittadini

Per quello che riguarda l’Italia non ho trovato niente di simile, neanche a livello di prototipo come Maria Maria. Non ho trovato attività portate avanti dalle aziende di trasporto pubblico dedicata al tema della molestia né di prevenzione delle molestie attraverso campagne informative né di informazione su cosa fare.

Sono numerose le iniziative le campagne realizzate da associazioni e di gruppi di attivisti, ma nessuna iniziativa istituzionale che faccia una ricerca seria sul tema e che cerchi di sviluppare un percorso sistematico per risolvere il problema (se invece ce ne sono e io non le ho trovate sarei contentissima di venire contraddetta). Eppure l’entità del fenomeno sembra tutt’altro che irrilevante: anche affidandosi solo ai meri dati statistici, il rapporto Istat 2008-2009 effettuato nell’ambito dell’indagine sulla sicurezza dei cittadini dice che nei tre anni precedenti all’indagine il 30% delle intervistate aveva ricevuto delle molestie sui mezzi di trasporto pubblico. Senza considerare peraltro che da quel documento sono passati quasi dieci anni e nel frattempo la rilevazione del fenomeno sembra lasciata solo ai racconti delle donne interessate e agli occasionali articoli a tesi sul degrado delle città, senza nessun apparente interesse per l’aspetto sistemico, sociale e culturale del fenomeno.

Insomma, siamo ancora al punto per cui non è scontato ripetere: il trasporto è pubblico, i corpi delle donne no.


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