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Della violenza sulle donne e la ricerca di una sua...

Della violenza sulle donne e la ricerca di una sua giustificazione biologica

di Silvia Keeling

Dopo gli scandali dello scorso autunno, campagne come #metoo e #quellavoltache sono diventate virali, e si parla di continuo di “molestia sessuale” nei giornali, per strada, in salotto, sui social network. Siccome il concetto di ‘molestia’ è, a quanto pare, difficile da inquadrare, non mancano le opinioni contrastanti: c’è chi appoggia il movimento condannando ogni tipo di aggressione, chi si sente preso in causa e, ovviamente, chi descrive questo insorgere di voci come un semplice ‘vittimismo’, una ‘caccia alla strega’.

Purtroppo la “violenza sessuale sulle donne” è una tematica su cui è ancora (e dolorosamente) possibile avere un’opinione, e c’è chi ambisce a condividere il proprio giudizio morale o a fare una battutona, c’è chi inventa spiegazioni “scientifiche” del tutto irrazionali che giustifichino l’atto di aggressione. Sui social media tutti danno il proprio peggio, ed è proprio su un’opinione pescata da lì che mi vorrei concentrare.

Quello che mi ha colpito questa volta è stato un commento che si distingueva dalla marea di luoghi comuni per il paradosso che proponeva, perché condannava duramente lo stupro e lo stupratore maschio, ma a partire da un ragionamento inconsapevolmente maschilista, comprovato alla base da un discorso spacciato per scienza e di discutibile veridicità.

Screenshot del lungo intervento su uomini alfa e beta (da Facebook)

Il commento esordisce rimarcando la difficoltà che molte donne incontrano nel momento in cui denunciano una violenza subita, poiché devono far fronte a una risposta pubblica spesso accusatoria e colpevolizzante; e fin qua, ho pensato, il discorso fila. Ma andando oltre la prima riga, l’autore si destreggia in una definizione tutta personale sull’aggressione, cadendo in un baratro di marcato sessismo in cui le pari opportunità non sono nemmeno una considerazione.

Gli uomini alfa

Per l’autore, l’origine della violenza di genere è rintracciabile nella teoria degli uomini alfa e beta. Se non siete a conoscenza di questa teoria come non lo ero io, occorre aprire una breve parentesi prima di proseguire.
Il concetto di alpha male viene coniato negli anni 70 dal biologo David Mech, che dopo aver osservato il comportamento di branchi di lupi all’interno di una riserva naturale pubblica The Wolf: The Ecology and Behavior of an Endangered Species, in cui designa con il termine “alfa” il lupo di genere maschile che riesce a prevaricare all’interno branco con la forza fisica e l’aggressività.

Il libro è un successo mediatico e il parallelismo tra uomini e lupi è istantaneo: lo studio di Mech viene illogicamente traslato al livello umano e considerato capace di spiegare le radici biologiche del nostro modello socio-organizzativo di maschio dominante. Nonostante sia oggettivamente inutile dibattere sul perché il paragone uomini e lupi sia tanto insensato quanto retrogrado, per amor di precisione aggiungerò che è lo stesso Mech a screditare la sua tesi qualche anno dopo la pubblicazione del libro.

Dopo aver studiato il lupo nel suo habitat naturale, e quindi al di fuori delle riserve naturali, il biologo si accorge che gli individui dominanti sono tali in quanto genitori del branco: non esiste alcuna gerarchia di forza e sottomissione tra i lupi, e l’autore mortificato tenta di togliere il proprio libro dagli scaffali di ogni libreria, ma fuori già si parla di “uomini alfa e beta”, e la teoria, che ormai vive di vita propria, degenera in una mascolinità tossica. Si pensa che sei maschio alfa se sei anche forte e intimidatorio, e questo piace alle donne, ma sei maschio beta se sei debole e insipido, e allora avrai più guai a trovare una partner che ti trovi attraente, proprio come i lupi!

Tirare acqua al proprio mulino

Il nostro commentatore non si limita a riprendere queste false credenze in circolazione, ma scende nel profondo e rielabora la teoria alfa/beta da un punto di vista gustosamente personale, cucendo il profilo di stupratore addosso al maschio beta che, siccome cucca poco è così pervaso da forte insicurezza e risentimento, che agisce e violenta. Al contrario, il maschio alfa non ha bisogno di autoaffermarsi sul genere femminile, né ha tantomeno il tempo per commettere alcun reato nel suo calendario stretto di impegni e appuntamenti. In più, il maschio alfa “capisce” le donne, sa conversare con loro.

Insomma questi alfa e beta, più che lupi, mi paiono autoreferenziali, e in questo delirio ideologico la femmina è solo l’oggetto del reato, e quasi inizia ad assomigliare più lei a un animale da ammaestrare, che segue il ferormone senza capacità di giudizio. Indubbiamente possiede la padronanza sentimentale e istintiva che la porta a scegliere un uomo piuttosto che l’altro, questo viene chiarito nella teoria alfa-beta, ma il vero punto focale di tutta questa faccenda è che anche quando è una questione di donne è una questione di uomini.

Sì, è una questione di donne ferite, e l’accento andrebbe posto sul perché nel 2018, questo reato sia perpetrato spesso senza condanna. E invece che prendere questo momento come una pausa per riflettere su questa testarda e ingiustificabile società dispari, sui giochi di potere, su concessioni e silenzi di cui le donne sono quotidianamente vittime, ci si interroga su quale movente biologico influenzi il maschio nella decisione di aggredire e umiliare.

Una considerazione ragionevole sugli scandali che ogni giorno affollano le prime pagine dei giornali, punterebbe l’occhio critico non sulla biologia alla base della società, ma sulla società alla base di sé stessa. Innegabilmente, chiunque ha bisogni primari come la fame e il sonno, e in questo siamo simili ad altri animali, ma la biologia non può spiegare il comportamento sociale nello stesso modo, e non penso sia nemmeno l’obiettivo di questa disciplina.

Il modo in cui interagiamo gli uni con gli altri riflette una miriade di elementi a cui siamo sottoposti ogni giorno, quali per esempio la cultura, l’ambiente naturale in cui viviamo, la tivù, i libri che leggiamo, le persone che incontriamo. Arrivare a dire che in realtà ci comportiamo come un qualsiasi altro mammifero di grossa taglia è un quadro decisamente riduttivo del genere umano, se non superato da secoli.

Invece che ricalcare vecchie contraddizioni che non solo sono basate su falsi miti, ma che sono esclusivamente legittimate dalla reiterazione di comportamenti triviali, dovremmo abbattere le vecchie frontiere e imparare a riconoscere quelle ‘innocue’ e ‘tradizionali’ asimmetrie che poi si traducono in abusi, focalizzandosi non tanto sul perché esistono, ma su come farle sparire.


Bibliografia:
De Beauvoir, S. (2012). The second sex. Vintage.
Katz, J. (2006). Macho Paradox: Why Some Men Hurt Women and and How All Men Can Help. Sourcebooks, Inc.

Nel video Mech si assume la responsabilità di aver coniato erroneamente il termine di alpha male. Mech conferma:

The term alpha isn’t really accurate when describing most of the leaders of wolf packs, because the term implies that the wolf fought and competed strongly to get at the top of the pack. In actuality the way they get there is merely by mating with a member of the opposite sex, producing a bunch of offspring which are the rest of the pack then and becoming the natural leaders that way (…).

Il termine alfa non è davvero accurato per descrivere la maggior parte dei capibranco, poiché il termine fa sottintendere che il lupo abbia lottato e gareggiato con l’uso della forza per essere all’apice del branco. In realtà, il modo per arrivare a quella posizione è accoppiarsi con un membro del sesso opposto e produrre un gruppo di piccoli che costituiscono poi il resto del branco e si diventa il leader naturale in questo modo (…).


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