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Del sacrosanto diritto della donna ad incazzarsi sul lavoro

Interno ufficio. Un gruppo di giovani esce allarmato dalla sala riunioni. Una donna in completo e tacchi sta facendo una sfuriata e loro pensano a come mettersi in salvo. La strategia? Offrire alla signora una compressa di analgesico per i dolori mestruali. E in ufficio torna a regnare la pace.

Questo spot – andato in onda alcuni anni fa su tutte le televisioni nazionali – era, evidentemente, rivolto a un pubblico femminile. Chi altri compra analgesici per i dolori mestruali? Il messaggio però, ben lontano dal trasmettere un senso di comprensione e “cura” rispetto a un problema fisiologico (pensiamo ai tanti spot di prodotti contro il mal di testa, l’influenza, la gastrite…) veicolava un’idea tanto fastidiosa quanto comunemente diffusa: le donne, a causa degli sbalzi ormonali o del loro carattere “costituzionalmente fragile”, non sono del tutto efficienti in ambito lavorativo.

Bisogna dar loro una mano: a volte con una pastiglia, altre proteggendole, altre ancora mettendole in condizione di non vivere “sull’orlo di una crisi di nervi”. E se la donna oberata dal lavoro o innervosita dall’inefficienza di un servizio o dall’incompetenza di un collega (magari pure maschio!) scoppia a piangere, la risposta sarà soltanto una paternalistica alzata di spalle.

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Illustrazione di Silvia Carrus

Molto diversa la reazione nel caso in cui, al posto di lasciare spazio alle lacrime, la donna in questione decida di comportarsi esattamente come farebbe la maggior parte dei suoi colleghi maschi: alzando il tono di voce, imprecando, arrivando a urlare o sbattere i pugni sul tavolo. La classica scenata da ufficio, insomma. Quale sarà in questo caso la reazione dei colleghi? La casistica in questo caso è tanto varia quanto fantasiosa:

Reazione paternalistico/assistenziale
La donna verrà invitata a calmarsi, a “stare tranquilla”, che “non è mica la fine del mondo”. Le parole in questo caso verranno scandite piano, con voce morbida e verranno talvolta accompagnate da una mano appoggiata sulla spalla.
Nella maggior parte dei casi questo atteggiamento sortirà come unico effetto l’inasprimento della crisi e il soggetto in questione si allontanerà dal campo di battaglia scuotendo la testa. La fanciulla è un caso disperato.

Reazione “simpatica”
La donna verrà scherzosamente apostrofata dai colleghi e le verrà domandato se ha litigato col marito/fidanzato/amante la sera prima. La procedura è tanto più fastidiosa per la lavoratrice quanti più dettagli della sua vita personale i colleghi conoscono e utilizzano impropriamente in questo frangente.

Reazione del fisiologo
La donna in questione ha il ciclo. Le verrà proposto un analgesico o un pezzetto di cioccolata. In letteratura sono riportati anche casi di reazione del fisiologo combinata con quella simpatica. In questo caso alla donna verrà fatta scherzosamente notare la sua condizione d’inferiorità a cadenza mensile. Con una grassa risata d’accompagnamento.

Reazione di “stimolo”
La donna verrà invitata a reagire. Normalmente sottolineando come certe debolezze non facciano parte di un profilo professionale qualificato. Di solito le persone che invitano a mantenere un atteggiamento sobrio nei rapporti interpersonali sono le stesse che – a cadenza ben superiore a quella mensile – danno di matto per un nonnulla.

Reazione di shaming
La donna deve vergognarsi per il suo atteggiamento (per nulla femminile fra l’altro), che la trasforma da dolce custode del focolare lavorativo in perfida medusa pietrificatrice.
Normalmente coloro che fanno questo appunto alle colleghe sono gli stessi che, in fase “reazione di stimolo”, invitano le donne ad assumere un contegno più “maschile” nell’affrontare le difficoltà. E – sì – non si accorgono del mare di contraddizioni in cui sguazzano.

Reazione caritatevole
Si tratta di un’interessante variante della sindrome della crocerossina. Il soggetto risponderà alla crisi offrendosi di superarla facendo le veci della collega evidentemente troppo scossa per gestirla adeguatamente.
Attenzione! Non bisogna confondere questa tipologia di reazione inopportuna con il – raro – caso dell’ammissione di colpa o di manchevolezza. In quel caso le scuse sono normalmente ben accette e la crisi rientra in tempi ragionevoli. Questi invece sono i casi più soggetti al cosiddetto fenomeno dell’insulto apotropaico. Riempire il caritatevole soggetto di contumelie aiuta a superare il momento di crisi, ma allo stesso tempo la donna ne esce, ancora una volta, portando sulle spalle il peso del biasimo per la sua reazione acida nei confronti di un atto gentile.

Cosa manca? La reazione solidale o comprensiva.
La morale è semplice: la donna che “reagisce” in modo deciso non viene ben vista, dentro e fuori il luogo di lavoro. Quindi conviene prepararsi al peggio. E se serve alzare la voce, senza mai cedere alla tentazione di “darsi una calmata”.

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