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I materiali di cui è fatto il canto: recensione di “Violeta” (Tonfoni e Spataro)

La prima volta che ho ascoltato una canzone di Violeta Parra ero una bambina. Mia madre stava cantando Gracias a la vida, forse la sua canzone più famosa in Italia, e a me dovette piacere, perché la ricordo ancora. Era una melodia infinitamente triste per un testo luminosissimo, un inno alla vita tra i più lucidi e ricchi che io conosca: di quelle lodi alla vita che ne contemplano anche la bruttezza, la desolazione, i deserti, e ciò nonostante la trovano amabile.

Gracias a la vida, ad ogni modo, rimase a lungo tutto quel che conobbi di Violeta Parra. Ora dalla sua nascita son passati cent’anni, Google le ha dedicato un doodle e Bao Publishing ha pubblicato la sua biografia a fumetti. Se anche voi siete digiuni di notizie su questo straordinario essere umano, forse è questo il modo migliore per colmare il vuoto.

La storia di Violeta è scritta con estrema delicatezza da Virginia Tonfoni e altrettanto dolcemente disegnata da Alessio Spataro. La tricromia scelta da quest’ultimo rende l’opera compatta; la vividezza delle vicende narrate è concretissima e al contempo rarefatta, sospesa in un altrove dove i contorni neri delle cose, a volte, si perdono nell’ocra, tranne un unico oggetto che spicca in bianco: una chitarra, una bambina, le nubi altissime tra le montagne.

La storia è divisa in capitoli, e le tavole più cariche di colore spesso hanno il compito di accompagnarci nella transizione dall’uno all’altro; ad aiutarle, ogni volta c’è una citazione diversa dalle canzoni di Parra, che – con una scelta per me felicissima – son state lasciate tutte in spagnolo (alla fine del volume ci sono le traduzioni, niente panico).

Chi era, però, questa Violeta Parra? La maggior parte di voi la conoscerà appunto come cantautrice: oltre alla già nominata Gracias a la vida, tra i suoi titoli più famosi si contano Volver a los diecisiete e Yo canto a la diferencia. Violeta, però, fu molto più di questo: stimata da Pablo Neruda e Victor Jara, tessitrice e pittrice oltre che cantautrice, fu la prima artista latinoamericana ad esporre in una personale al Louvre, portando i parigini a rimirare arazzi, quadri, sculture di fil di ferro e maschere realizzate da lei.
In più, la sua attività musicale ebbe un valore notevole per la tradizione musicale latinoamericana, se è vero che la sua ricerca sul campo riportò alla luce l’identità musicale cilena, facendola emergere dalle melodie spagnoleggianti che imperversavano per il Paese e dalle quali, peraltro, lei stessa aveva iniziato la sua carriera.

Violeta di Tonfoni e Spataro rende onore a tutte queste grandezze del personaggio. Eppure, ciò che mi è rimasto più addosso, dopo aver letto questa biografia, è la sensazione bellissima d’aver conosciuto l’essere umano. E allora, Violeta Parra è anche una ragazzina che riceve una lettera e l’indomani, senza aspettare altro, sale da sola su un treno che la scaraventa dal suo villaggio alla capitale Santiago, tutto perché il fratello le ha proposto di andare a suonare con lui per le strade e i locali. Violeta Parra è anche la donna che ama e fa innamorare, ma che non esita a rompere con gli uomini con cui stava costruendo una vita non appena loro cercano di sottrarle la musica.

È anche la madre che, nel lasciarsi alle spalle la famiglia per l’ennesimo viaggio – in giro per il Cile alla ricerca di vecchi cantori, verso l’Europa per raccogliere premi – esibisce la sua gioia senza una goccia di senso di colpa, perché è così chiaro che il suo posto è la strada, con la chitarra e la sua voce pronte, che sarebbe stupido chi provasse a fermarla. E, infine, è l’essere umano contraddittorio, appassionato e fragile che sceglie da sé quando uscire di scena. Della fine del libro e della vita di Violeta Parra non voglio dirvi di più, perché Tonfoni e Spataro sono riusciti nell’impresa rara di raccontare una morte volontaria con rispetto, riserbo e gentilezza. Dal silenzio che avvolge le ultime tavole, comunque, a me è sorto il desiderio di metter su la discografia intera di questa grande artista. L’obiettivo dell’opera, secondo me, è raggiunto.

Stronzi borghesi!

Un bel regalo di compleanno


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