Yo! Sissy Festival, le impressioni

Il 29 e 30 luglio 2016 si è tenuta a Berlino la seconda edizione dello Yo! Sissy, il festival che celebra la musica e la cultura queer, in tutte le sue salse.

Dopo quello che è successo ad Orlando internet si è riempito di bellissimi articoli dedicati a quanto siano preziosi, fondamentali e irrinunciabili i locali, gli spazi queer per la comunità LGBTQ – un esempio su tutti. Yo! Sissy ha preso tutto il meglio di quanto potete leggere circa il sentirsi a casa, il muoversi fra simili e l’ha reso cosa concreta per due giorni filati.

Un festival di due giorni nel bel mezzo di una grande città. Collegamenti assicurati, un tetto sopra la testa in caso di pioggia improvvisa, possibilità di mangiare e bere a prezzi non esorbitanti nel raggio di pochi metri.
A differenza dell’edizione dello scorso anno, che ha spezzato il festival in diversi club (cosa poco pratica per chi voleva spostarsi da un palco all’altro sulla superficie della capitale tedesca), lo Yo! Sissy 2016 ha fatto un passo avanti, unendo le performance in soli due posti, il Musik & Frieden per la giornata del 29 e il Postbahnhof per il 30, due club abbastanza grandi da ospitare diversi stage e numeros* artist*.

Fila contenuta, controlli di routine, guardaroba. L’inizio è lo stesso di altri festival a cui ho partecipato. La prima ispezione del luogo rompe però qualsiasi aspettativa: lo spazio è labirintico, le sue arterie conducono inaspettatamente a stage di diversa grandezza e a sale dove già dalle prime ore del festival si tengono spettacoli di burlesque o show di drag queen; luoghi per beveraggi vari, terrazze, angoli dove è possibile farsi fotografare; nicchie dedicate a piccoli dj set e improvvisazioni.

La cosa che in questo percorso salta subito all’occhio è la luminosità: paillettes e glitter decorano i muri del club, supportati da una miriade di decorazioni fatte a mano, cosa che evinco dalla pagina Facebook dell’evento, dalla quale apprendo che moltissim* volontar* si sono rimboccati le maniche negli ultimi giorni per creare elementi di scena ad hoc, seguendo lo stesso tema visivo del festival: una sorta di zebrato bianco e nero, condito da un font irregolare e coloratissimo.
A saltare all’occhio sono soprattutto gli hula hoop trasformati in enormi corone di fiori simili a lampadari, diversi tubi e occhi di cartapesta, soffioni di stoffa.

Caldo assassino a parte (e fumo altrui, maledetti locali tedeschi in cui è ancora possibili fumare) quanto si stava bene là in mezzo? Immensamente.

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Foto di Ilaria Pompei

I diversi stage non sono divisi per genere musicale in maniera netta. La divisione si basa più che altro sulla notorietà de* artist* che si esibiscono, per consentire al maggior numero di persone di partecipare, ad esempio, alle esibizioni di Mykki Blanco (che hanno avuto modo di presentare i loro ultimi lavori discografici), e Christeene, che unisce alla sua musica uno stile molto meno “pulito” di essere drag queen (make up non perfetto, testi aggressivi, voce graffiante).

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Foto di Ilaria Pompei

Una delle performance che ha colpito di più è stata quella di Kiddy Smile, dj house parigino[1] il cui set è stato accompagnato da ballerini di vogue per tutta la sua durata. Ancora degn* di nota il concerto di Plateau Repas, una sorta di lezione di aerobica queer mescolata a un’estetica neon, che ha aperto il festival e ha accolto i primi visitatori; il set di Bella Cuts del collettivo Expatriarch, e quello di Boy Pussy, a cui è stata ingiustamente assegnata una postazione più piccola in uno stage che molt* non sono riusciti a trovare o che, semplicemente, non hanno notato.

Il marchio alla serata è stato dato da Pansy, drag queen molto famosa e attiva anche politicamente, che ha contribuito con la sua presenza ad una maggiore visibilità del festival, anche sul piano internazionale. Anche il gruppo di drag queen inglese “Family Fierce” si è distinto, e fra i vari lip sync ha messo in scena questa cosa qui, mentre la gente impazziva e l’umidità della location aumentava.

Quello della musica è un ottimo pretesto per unire la comunità queer. L’evento, stando a quello visto durante la prima giornata, sembra essere pienamente riuscito. La scelta de* artist* ha dimostrato la capacità di chi ha organizzato il festival, che ha saputo tenere conto non solo della qualità della musica, ma anche di altri aspetti più sensibili e cari alla cultura queer (provenienza, gender, background culturale dei partecipanti).
Credo che anche il pubblico abbia capito l’essenza dello Yo! Sissy, cioè quella di un evento in cui la condivisione e l’appartenenza sono fondamentali, non in quanto etichette subculturali, ma in quanto premesse fondamentali per creare una comunità più fluida e uno spazio protetto.
C’è da augurarsi che avvenimenti del genere non siano quelle cose che si aspettano per tutto l’anno, ma che inizino a diventare dei marchi per la produzione di eventi simili, sempre più frequenti, sempre più diffusi.

Mykki Blanco ha commentato la serata con We are creating queer vibrations that will change the world!

Ed è vero.

Nota [1]: A proposito di Kiddy Smile, non sono riuscita a trovare informazioni precise. Spero di essermi rivolta all’artista con il pronome corretto.


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