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Erano i capei d’oro a l’aura sparsi: 800 anni di stereotipi sulle bionde

Cercando su Google: “barzellette sulle bionde” ci si imbatte in una certa quantità di battute.

Sapete come si fa ad annegare una bionda? Facile, basta incollare uno specchio in fondo a un pozzo.

Perché una bionda apre uno yogurt in un supermercato? Perché sopra lo yogurt c’è scritto “aprire qui”.

Come si chiama la bionda che ha tinto capelli in nero? Tentativo di intelligenza artificiale.

L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito. Leggendo bene quelle barzellette, salta all’occhio come gli elementi che dovrebbero suscitare il riso siano principalmente la stupidità, la frivolezza e la promiscuità sessuale delle donne bionde. Esempi sciocchi di un pregiudizio molto radicato nella nostra società, e apparentemente duro a morire: bionda = stupida e sessualmente disponibile.

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Ma è sempre stato così? È curioso vedere come la percezione dei capelli biondi abbia subito un completo rovesciamento di prospettiva nel corso della Storia.

Il dolce stil novo, e ancor prima la poesia trobadorica, celebrano un modello univoco di bellezza femminile. Sulla scorta del De amore di Andrea Cappellano, un trattato in latino del 1185 circa, si radica nella poesia un certo topos di relazione amorosa. Non c’è amore più puro di quello platonico (ed eterosessuale) che lega un poeta ad una donna più nobile, spesso sposata, che diventa poi signora e padrona del suo cuore.

Le bellissime poesie della scuola provenzale, siciliana e poi dello stil novo cantano le qualità fisiche e morali della donna, che arriva ad assumere caratteristiche talmente ideali da diventare una sorta di figura trascendentale, ultraterrena, angelicata, e per ovvie ragioni bionda. Le poesie stilnovistiche e le descrizioni della donna che vi troviamo celebrano il mito della luce, che arriva ad irradiare ogni cosa, compreso l’aspetto della donna.

In Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli, considerata la poesia manifesto del genere, i riferimenti luministici sono numerosi e ridondanti e nell’ultima, dibattuta, strofa del componimento, il poeta in colloquio con Dio afferma: “Tenne d’angel sembianza / che fosse del Tuo regno; / non me fu fallo, s’in lei posi amanza”, cioè “(Lei) aveva l’aspetto di un angelo del Tuo regno; non peccai, se mi innamorai di lei”.

Anche se la Bibbia non ci dà indicazioni precise sull’aspetto degli angeli, le raffigurazioni dell’epoca ce li mostrano prevalentemente biondi. Dei capelli della Beatrice amata da Dante non abbiamo notizia, ma nel Paradiso il poeta usa così tante immagini luministiche per descrivere il suo aspetto che la tradizione ha sempre annoverato Beatrice nell’elenco delle bionde.

I capelli dorati per eccellenza, però, sono quelli di Laura di Petrarca: non si contano le lodi alle belle trecce bionde, prolungamento e manifestazione esteriore della sua natura divina. A quest’altezza, i capelli biondi sono sinonimo non solo di bellezza, ma anche di nobiltà d’animo, di rettitudine, di santità. Il topos della virtù della donna bionda diventa una costante nella letteratura.

Parallelamente, nelle arti figurative, la rappresentazione della Madonna lascia intravedere sotto al velo una capigliatura sempre più chiara. I capelli hanno anche una connotazione morale, tanto che le donne viziose della poesia comica e grottesca medievale sono sempre more.

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Laura incorona Petrarca, 1263. Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze

Ma com’è possibile, allora, che i capelli biondi abbiano assunto, nel tempo, il significato diametralmente opposto? C’è un meccanismo individuato dal critico letterario russo Michail Bachtin che spiega come un genere letterario viene superato non appena diventa oggetto di parodia e riso. Quando una certa visione del mondo proposta dalla letteratura viene percepita vecchia e abusata, si rovescia. La donna virtuosa e angelica dalle divine trecce dorate diventa la parodia di se stessa.

Il modello tanto amato nel passato perde la sua forza, e le sue caratteristiche vengono gonfiate fino a diventare ridicole. La donna angelicata è talmente immersa nel suo mondo ultraterreno da perdere contatto con la realtà e sembrare una povera scema, talmente santa e inviolabile da essere la prima fautrice di facili pruriti sessuali. La letteratura ripiega sempre di più sulle more: di Silvia, Leopardi canta “la dolce lode delle negre chiome”; persino la pia e timorata Lucia dei Promessi Sposi ha “neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte”.

È con l’avvento del Novecento, delle tinte ossigenate e del cinema, però, che il pregiudizio della donna bionda e svampita conosce la sua apoteosi. Marilyn Monroe, che era in realtà castana, fece dei suoi capelli dorati una fortuna e una condanna. È ormai noto che dietro la facciata di bionda, capricciosa e spensierata si nascondeva una donna molto intelligente e sensibile, schiacciata dall’industria di Hollywood.

Non solo Marilyn, ma anche Jayne Mansfield, Brigitte Bardot, Pamela Anderson, Anna-Nicole Smith. Di che colore sono i capelli della cheerleader sciocca e frivola, antagonista di tutti i teen movie? Accanto a queste rappresentazioni di donne facili, stupide e disponibili, continua a perpetrarsi lo stereotipo dell’innocenza dei capelli biondi: basta pensare alla fortuna che conobbero Shirley Temple e i suoi riccioli d’oro.

Si può dire, insomma, che nella modernità il pregiudizio si sia sdoppiato in due facce della medaglia opposte, in “santa” e in “puttana”.

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Gli uomini preferiscono le bionde, 1953

Sono passati ottocento anni da quelle donne angelicate, non molti dalle svampite ossigenate della vecchia Hollywood, ma ancora, nel 2016, un programma televisivo come Avanti un altro sceglie non a caso una procace bionda che si comporta da scema per divertire il suo pubblico.

L’economista Jay Zagorsky, dell’Università dell’Ohio, ha condotto una ricerca per cercare delle connessioni tra i capelli biondi e l’intelligenza. Dopo aver selezionato dal National Longitudinal Survey of Youth del 1979 partecipanti ambo i sessi di età compresa tra i 14 e i 21 anni, e dopo averli intervistati varie volte nel corso degli anni, ha scoperto che le donne bionde del gruppo (tutte caucasiche, visto che è l’etnia con maggior incidenza di capelli biondi) erano quelle con il QI più elevato.

C’è davvero bisogno di uno studio scientifico per smontare uno stereotipo così infondato e sciocco? Ancora, nell’anno domini 2016, ci sono delle persone davvero convinte che le bionde siano stupide per natura? Chiedete ai vostri amici. Tutti conoscono barzellette sulle bionde.

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  1. DJF

    12 Maggio

    Intanto grazie dell’articolo, ben scritto e argomentato. Poi velocemente, un’osservazione: lo stereotipo sulla bionda irraggiungibile e per metà spirito esiste ancora! Io ne sono stata vittima per molti anni e ne ho sofferto non poco, riuscendo a superare certe insicurezze solo nella trentina inoltrata. Il fatto rimane che le donne, qualsiasi siano i loro colori, vengono molto più regolarmente giudicate per il loro aspetto rispetto agli uomini (che sorpresa, eh?!). Io a quando pare non ero il genere di bionda che passava per un’oca, ma per l’algida valchiria irraggiungibile, forse anche frigida e quindi assolutamente non una con cui ci si poteva divertire! Suppongo dipenda dal tipo di bionda che si è… In altri casi ero vista come un premio, o una che si atteggiava a premio (manco fossi stata Greta Garbo o Grace Kelly). La verità è che dall’adolescenza a buona parte della mia giovane vita adulta, sono stata costretta nel ruolo di schermo su cui molti uomini proiettavano le loro insicurezze e fisime. I pochi che hanno visto oltre e sono riusciti ad avere relazioni con me hanno poi confessato che, pur avendomi vista come irraggiungibile all’inizio, hanno poi capito che questa impressione fosse errata… che io fossi, in sostanza (guarda un po’!), semplicemente un individuo. In conclusione, sebbene lo stereotipo della bionda oca sia molto più diffuso, quello della proiezione ideale è ancora vivo e vegeto e provoca una solitudine ed una frustrazione (soprattutto quando si è molto giovani) che nemmeno posso descrivere!

  2. Giulia

    27 Dicembre

    Purtroppo è vero, noi bionde veniamo così idealizzate da risultare surreali e assolutamente irraggiungibili eppure siamo persone come tutte le altre.
    A proposito di questo sarebbe interessante analizzare l’opera della Venere in stracci di Pistoletto che trascende la bellezza idealizzata dell’arte classica per inserirla nella quotidianità di una donna casalinga che stira gli stracci.
    Mi chiamo Giulia e questo lo so bene, ma non mi causa felicità, al contrario trovo che sia molto triste.
    Causa molta invidia da parte delle altre donne e ci costringe ad essere sole perché alla fine gli uomini scelgono quelle meno belle.
    A me è successo che un uomo si fosse innamorato di una donna perché mi assomigliava, avendomi appunto idealizzata al limite dal credere che non fossi reale.
    Alla fine quella donna meno bella e meno intelligente ha avuto due uomini, io sono rimasta sola con la mia bellezza.
    (Naturalmente per bellezza si intende anche bellezza dell’anima).

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