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Resilienza e bellezza: “Americanah” di Chimamanda Ngozi Adichie

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Prima di leggere Americanah (2013), non avevo idea di cosa fosse l’Igbo – la lingua dell’omonima etnia, una delle più diffuse in Nigeria – né di come si cucinasse il coconut rice. A dire il vero, prima di leggere Americanah ignoravo anche altre cose: alcune erano enormi e potenti, altre invece erano verità intime, di quelle difficili da individuare ma che ti lasciano senza respiro nel mezzo di una pagina, perché l’autrice ha appena dato un nome a un’emozione tua, privata, intensa, che ti svela qualcosa di te.

Non è un caso: Americanah è un romanzo immenso, di formazione ma anche di migrazione, che parla di razzismo e di determinazione, di eventi traumatici e della resilienza che permette di incorporarli nella nostra vita andando comunque avanti; è una storia spietata sui molti modi in cui si può essere stranieri in un Paese, ma anche una storia d’amore struggente che neanche Titanic. Ma entriamo nel vivo.

Da Lagos a Princeton e ritorno

La protagonista di Americanah è Ifemelu, anche se Obinze, il suo grande amore, a tratti le contende il primato. La sua vita è ciò che tiene insieme la vastità di argomenti che attraversa il libro, fondamentalmente perché, come la maggior parte degli esseri umani, Ifemelu è una creatura vasta. Noi la incontriamo in un momento della sua vita perfetto, in teoria, ma anche curiosamente icastico: è una donna che ha un assegno di ricerca a Princeton, una relazione sana con un uomo intelligente e un blog con migliaia di lettori, ma è anche una donna che per andare dal parrucchiere deve prendere un treno, perché a Princeton non ce n’è uno solo che sappia intrecciare i capelli di una persona di colore.

Mentre una ragazza senegalese le fa le treccine a qualche fermata dalla sua città, Ifemelu si perde nei ricordi, seguendo i contorni della nostalgia che mina l’apparente pienezza della sua vita. È così che vediamo Ifemelu adolescente, a scuola in Nigeria, in mezzo alle amiche che partono per gli Stati Uniti e tornano con un accento ostentato e una sicurezza invidiabile.

La vediamo giovane, ironica e brillante e sorridiamo quando, a una festa, incontra il suo grande amore, quell’Obinze sicuro e riflessivo che di lei s’innamora proprio per la sua sfrontatezza, per la sua ironia che intimidiva gli altri. Quando anche Ifemelu, quasi per caso, parte per gli Stati Uniti con un visto di studio, la vediamo fare piani per non perdersi con Obinze, per poi seguirla quando quei piani s’infrangono contro l’aggressiva realtà statunitense.

Da qui in poi, Obinze avrà la sua storia indipendente di crescita, emigrazione e ritorno, che ci permette di conoscerlo e, quasi senza accorgercene, di guardare alle storture delle politiche d’accoglienza europee. Nel frattempo, Ifemelu viaggerà sola, nei suoi ricordi che si svolgono davanti a noi: la vedremo reprimere il proprio accento nigeriano e poi rivendicarlo con orgoglio, costruire relazioni sane con uomini positivi anche se imperfetti, esplorare la depressione e la resilienza, fondare un blog di osservazioni sul razzismo istituzionale statunitense, conquistare una vita invidiabile a Princeton, la stessa in cui l’abbiamo trovata.

Uscita da quel salone in cui una ragazza senegalese le ha acconciato i capelli, Ifemelu tornerà in Nigeria, perché forse Americanah è questo: un libro sull’andare, ma anche sul ritornare, sul modo in cui entrambe le azioni ridefiniscono chi siamo. Fin dalla prima pagina, Ifemelu sa che sta per fare questo salto nel vuoto: sottoporre la sua identità, così faticosamente costruita in una terra straniera che ormai ha fatto sua, alla prova del Paese che l’ha generata, della città in cui è cresciuta e anche – per quanto non lo ammetta ad alta voce – della prima persona che ha amato.

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Chimamanda Ngozi Adichie – Illustrazione di Francesca Popolizio

Due pregi e un difetto: Curt, Blaine e Kosi

L’amore di Ifemelu e Obinze è un filo rosso che attraversa il libro e del quale noi lettori non arriviamo mai a dubitare. Anche se, per quanto mi riguarda, li preferisco da adolescenti che da adulti, questi due esseri umani s’incontrano con una delicatezza e un’autenticità che rende i loro momenti insieme inesplicabilmente struggenti. Ciò non toglie che, com’è naturale, nel lungo tempo in cui i due si perdono di vista altre persone incrocino la loro strada. In questi incontri collaterali c’è, a mio parere, il meglio e il peggio di Americanah.

Gli altri uomini della vita di Ifemelu sono due, Curt e Blaine. Il primo è biondo, bianco, ricco, entusiasta della vita; in alcune cose è infantile, ma è fondamentalmente buono e dà spesso prova di un acume istintivo quando si tratta di cogliere verità della vita di Ifemelu, specialmente quelle di cui lui non ha esperienza. Il secondo è un ricercatore universitario afroamericano, colto, politicamente impegnato, con uno sguardo acuto – anche se a volte pretenzioso – sul mondo che lo circonda.

Con entrambi Ifemelu ha una buona intesa intellettuale, emotiva e sessuale; se alle sue relazioni con loro manca qualcosa non è perché in loro ci siano difetti oscuri, segreti drammatici o perché intervengano travolgenti conflitti esterni; semplicemente, queste due brave persone non sono del tutto adatte a lei e, a un certo punto, lei li lascia.

Possono sembrare considerazioni banali, ma per me sono state sorprendenti, perché svelano una verità che le narrazioni della mia infanzia sui personaggi femminili non mi avevano raccontato mai: che una donna è autorizzata a lasciare un uomo buono, ma non adatto a lei; che questo non la rende una stronza, ma solo una persona autoconsapevole. Non so voi, ma la mia sedicenne interiore è rimasta a bocca aperta.

Il contraltare di questa scelta narrativa meravigliosa, nonché l’unico difetto che io trovi a questo libro, è che la donna che incontra Obinze, invece, è una scema. Più precisamente: è un cliché. In un romanzo popolato da persone vere, vive, credibili, la donna cui lo splendido Obinze sceglie di legarsi è l’epitome dell’altra: bellissima, superficiale, delicata e vuota, sembra una sagoma di cartone semovente invece che un essere umano.

Non che l’esistenza di una persona simile sia impossibile, ma che si trovi esattamente nella funzione narrativa di quella stronza che deve togliersi di mezzo perché il triangolo amoroso si risolva è una scelta, ed è una scelta facile. Io, però, sono felice che questo difetto in Americanah ci sia: significa che Adichie potrà crescere ancora, per regalarci prima o poi un libro ancor più impensabilmente bello.

L’autrice: Chimamanda Ngozi Adichie

Due parole sull’autrice, perché di lei io sono ormai perdutamente innamorata. Classe 1977, di casa sia negli Stati Uniti dei suoi vent’anni sia nella Nigeria della sua infanzia, Chimamanda Ngozi Adichie mi si è rivelata per la prima volta nel bel mezzo di Flawless di Beyoncé: la cantante, infatti, ha campionato nella sua canzone un pezzo della Ted Talk di Adichie dal titolo We Should All Be Feminists.

Se foste adolescenti svedesi la conoscereste di sicuro: una copia di quella Ted Talk è stata recapitata a casa di ciascuno di loro per iniziativa del governo, che ha reputato le parole di Adichie una parte imprescindibile dell’educazione dei suoi giovani cittadini.

Per scendere sul personale, vi ricordereste di lei anche se foste parte della terza media in cui ho insegnato quest’anno. Un’altra Ted Talk di Chimamanda, The Danger Of A Single Story, è stata il punto di partenza delle mie lezioni sull’Africa, perché nessuno – a mio parere – racconta meglio di lei la necessità di smettere di definire un continente intero sulla base di narrazioni semplicistiche costruite da altri.

A voler cercare un filo conduttore dei moltissimi campi in cui Adichie è impegnata, sarebbe forse la lotta agli stereotipi, che “non sono perniciosi perché sono ritratti falsi della realtà, sono perniciosi perché sono ritratti incompleti”. Anche ricondurla solo a questa linea di pensiero, però, è riduttivo, come sarebbe riduttivo tracciare un’immagine bidimensionale di Ifemelu o Obinze. Chimamanda Ngozi Adichie è una donna ironica e brillante, con un talento naturale per dare un nome alle cose e la determinazione necessaria per farlo anche quando è difficile. Ha un’opinione intelligente più o meno su tutto: se volete diventare esseri umani migliori, scopritela.


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  1. Alessandra

    7 Giugno

    Grazie. Grazie. Grazie. Per avermi fatto scoprire questo splendido romanzo e questa splendida autrice. GRAZIE.

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