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La soddisfazione del traguardo: pensieri di una di...

La soddisfazione del traguardo: pensieri di una diplomanda

Le prese di consapevolezza sono momenti di strana magia; non è che arrivino necessariamente in momenti inaspettati, eppure ti sorprendono comunque. Io ho capito che il mio tempo in Accademia di Teatro era finito seduta sulla tazza del cesso nel penultimo bagno della suddetta Accademia. Non ero lì seduta a meditare sulla vita aspettando che il mio corpo finisse di svolgere i suoi bisogni; piuttosto mi sono precipitata in bagno come porto di arrivo per non farmi vedere da nessuno scoppiare in lacrime.

Era da tempo che mi sentivo assolutamente miserabile, stanca e come fuori posto. A quel punto è successo qualcosa di simile a un miracolo: la mia insegnante di danza, che non mi aveva quasi mai rivolto la parola per due anni a causa della mia congenita incompetenza nella sua materia, mi ha chiamata da parte per congratularsi dei miei progressi.

Mi duole ammettere che nonostante quello sia stato sicuramente un momento più unico che raro nella mia carriera di “danzatrice”, io non ricordo nulla. Mentre l’insegnante mi parlava di come avevo finalmente cominciato a fare sostanziali miglioramenti, sentivo la sua voce rarefarsi nell’aria, e nella bocca del mio stomaco montare il pianto.

E quindi eccomi lì, seduta sul cesso a piangere perché sentivo di potermi permettere di farlo senza giudicarmi una che si piange addosso, perché mi sembrava impossibile quello che era appena successo, perché non sapevo se quello che era appena successo avesse di fatto alcuna importanza per me.

Due anni fa ho imparato e preparato un monologo di Shakespeare in due giorni e ho mentito spudoratamente pur di entrare nell’Accademia di recitazione dove sto per cominciare il mio terzo e ultimo anno.

Quando finisci, o stai per finire, ti rendi conto che in realtà hai appena cominciato. È facile per me adesso guardarmi indietro col senno di poi e pensare a tutte le cose che avrei potuto fare e non ho fatto, a tutte le cose che apprendere non ho imparato e che mi sembrano improvvisamente fondamentali per la mia riuscita nella carriera di attrice.

Ma poi penso anche a tutte le cose che ho guadagnato, tutte le paure che ho superato, tutte le cose che non avrei mai pensato di poter fare e poi ho fatto. Ho passato moltissimo tempo con delle persone apparentemente molto diverse da me, osservando dei loro comportamenti nei quali potevo ritrovarmi, vedere i miei limiti e pregi e sentirmi più vicina a loro, che mi avevano fatto scoprire delle cose di me che altrimenti forse non avrei scoperto mai.

Ero così inconsapevole di ciò che mi aspettava che se l’avessi saputo probabilmente al provino non ci sarei neanche andata. La condizione vitale del non sapere cosa accadrà ma decidere di affrontarlo comunque a braccia e cuore aperto è il più grande insegnamento che l’Accademia potesse darmi, quasi un regalo. Le soddisfazioni, e le delusioni, a quel punto sono solo naturali e inevitabili conseguenze dello stare al mondo.

La mia più grande soddisfazione poi, è stata quella di smettere di cercare di seguire un percorso già tracciato e calpestato perché reputato il migliore, ma usare gli strumenti che mi sono stati dati per costruire la mia strada.
Tutto quello che ci rende diversi è anche ciò che ci rende unici, in scena e non. Questo non finirò mai d’impararlo. Conoscere se stessi è un percorso lento e faticoso, non privo di grandi conflitti e scoramenti, ma anche di orgoglio e gioia. Dire che l’Accademia mi abbia preparato a un mestiere sarebbe una visione superficiale: ha cambiato il mio modo di vedere e interagire con il mondo.


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