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Il processo per stupro nel ‘600: il caso di ...

Il processo per stupro nel ‘600: il caso di Artemisia Gentileschi

Giuditta che decapita Oloferne

Giuditta che decapita Oloferne

di Marta Dalla Pozza

Sapevate che, nel 1600, i processi per stupro nello Stato Pontificio prevedevano la tortura della vittima, per verificarne l’attendibilità e purificarla dal disonore subìto? È quanto accade alla giovane pittrice Artemisia Gentileschi, quando, nel 1612, il padre sporge querela contro Agostino Tassi, accusato di averla violentata e in seguito ingannata con false promesse di matrimonio. Abbiamo approfondito la vicenda con Elisa Ferraretto, laureatasi da poco a Ferrara in Storia del diritto penale, con una tesi sull’argomento.

– Come mai hai scelto di occuparti della storia di Artemisia Gentileschi? Cosa ti ha colpita, in particolare?
Il mio interesse risale ad alcuni anni fa, quando in una libreria di Padova ho trovato un volume con i verbali del processo. Inoltre Artemisia mi è sempre piaciuta come pittrice; appartiene alla scuola di Caravaggio. Nella sua “Giuditta che decapita Oloferne”, in particolare, c’è molto di autobiografico. Si vede che è stato dipinto da una donna che ha subito una violenza. Gli schizzi di sangue sul lenzuolo la rievocano, come anche il coltello che Giuditta infilza nel collo di Oloferne. Rispetto al quadro di Caravaggio, che ritrae lo stesso soggetto, c’è molto più pathos: i volti dei due protagonisti rappresentano Artemisia ed il suo aggressore.

– La giovane Artemisia entra in contatto con il Tassi proprio tramite la pittura. Ci spieghi come?

La giovane ha un grande talento, che però non può coltivare come avrebbe fatto un maschio, frequentando una bottega, da apprendista. Il padre pittore le insegna i primi rudimenti, poi decide di affidarla ad un suo collaboratore, Agostino Tassi, perchè le illustri la tecnica della prospettiva. All’epoca, nel 1611, i Gentileschi vivevano a a Roma. Artemisia, diciottenne, era orfana di madre; perciò quando il padre era assente si trovava sotto la sorveglianza di una vicina, Tuzia. Il Tassi inizia a frequentare la casa per le lezioni, si invaghisce della giovane e un giorno, con un pretesto, allontana la vicina e usa violenza ad Artemisia. In seguito, la blandisce con la promessa di sposarla.

Autoritratto come allegoria della pittura

Autoritratto come allegoria della pittura


– Lo stupro viene denunciato dal padre della giovane soltanto un anno dopo. Come mai?

Quando avviene il fatto Orazio Gentileschi e Agostino Tassi stanno lavorando insieme agli affreschi della loggetta del cardinal Borghese, nella capitale. C’è chi pensa che Orazio abbia aspettato di concludere il lavoro; una seconda ragione è la promessa non mantenuta del Tassi, che rifiuta di sposare la figlia. Orazio, quindi, sporge querela al pontefice Paolo V, dando inizio alla vicenda processuale.

– Ci illustri brevemente come si svolge il processo?
Premetto che, all’epoca, per avere giustizia la vittima doveva dimostrare di essere sempre stata una donna onesta, pura. Artemisia, quindi, cita due testimoni, a favore della sua buona fama. Questa fase è seguita da un esame ginecologico fatto da due levatrici, che dovevano verificare che avesse effettivamente perso la verginità. Segue l’audizione di altri testimoni e dell’accusato stesso. La parte avversa ritrae Artemisia come una ragazza facile, che usava affacciarsi alla finestra per adescare i giovani. Per stabilirne l’effettiva buona reputazione avviene un confronto fra lei e l’accusato. Ognuno ribadisce la propria posizione, quindi ad Artemisia viene chiesto se sia disponibile a confermare la propria versione anche sotto tortura. Si tratta del tormento “dei sibilli”, doppiamente pericoloso per una pittrice: legati i polsi per evitare che la donna si divincolasse, venivano poste delle cordicelle tra le dita delle mani congiunte e successivamente si azionava un randello che, girando, stringeva fino a stritolare le falangi. Ad ogni nuovo giro di vite, le dita si gonfiavano e il sangue non circolava più; ciò poteva causare anche delle invalidità permanenti. Tale supplizio, in realtà, era finalizzato soprattutto a purificare tramite il dolore quanto subìto. Negli atti del processo viene proprio indicata come “tortura disposta per emendare la colpa”.

– Nella tesi fai notare anche come, nei processi per stupro, la discriminazione nei confronti delle donne continui ben oltre il ‘600.
Sì, ancora nell’800 i fascicoli dei procedimenti per tale reato recavano la dicitura “processo per violenza carnale commessa con la signorina…”, come se si implicasse una correità della vittima. Fino al 1981, poi, il reato di violenza carnale veniva considerato estinto, se seguito dal matrimonio con lo stupratore. Inoltre, risale soltanto al 1996 la legge che colloca il reato di violenza sessuale tra i delitti contro la persona, invece che contro la morale.

– Come si conclude la vicenda processuale di Artemisia Gentileschi?
Non abbiamo il testo della sentenza finale ma, alla luce di quanto emerso durante l’istruttoria e la tortura, è probabile che il Tassi sia stato condannato al pagamento di una somma di denaro, che fungerà da dote per la giovane. Poco dopo il termine del processo, infatti, avviene un matrimonio riparatore tra lei e Pietro Antonio Stiattesi, su decisione del padre. Artemisia acconsente, ma in seguito interrompe ogni rapporto con il genitore, si trasferisce a Firenze e sceglie di adottare il cognome della madre, Lomi, per firmare le proprie opere.

– Lì la sua carriera artistica continua, nonostante lo scandalo destato dal dibattimento.
Sì, riesce ad affermarsi a tal punto come pittrice da diventare la prima donna membro dell’Accademia fiorentina delle arti del disegno. Lavora in Italia, a Napoli, e persino in Inghilterra. Mantiene contatti epistolari con personaggi eminenti della cultura dell’epoca, come Galileo Galilei. La vicenda giudiziaria, però, ne mina comunque la reputazione: persino dopo la morte sarà oggetto di sonetti licenziosi.

[*] Nota. Se vi interessa approfondire l’argomento l’autrice della tesi consiglia:
Agnati, Tiziana, Artemisia Gentileschi, Giunti, Firenze 2001.
Menzio, Eva (a cura di), Artemisia Gentileschi. Lettere precedute da Atti di un processo
di stupro, Abscondita, Milano 2004.
Cropper, Elisabeth, Artemisia Gentileschi, la “pittora” in Giulia Calvi (a cura di)
Barocco al femminile, Laterza, Bari 1992.


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  1. MargheritA B

    6 Febbraio

    Meraviglioso articolo 🙂

  2. Marta DP

    6 Febbraio

    Ti ringrazio! Da quando ho sentito la storia di Artemisia mi è venuta una voglia incredibile di diffonderla… Un grazie ad Elisa Ferraretto, la tesista, e a Soft Revolution ovviamente!

  3. Veramente un articolo molto interessante! Conoscevo solo in parte la sua storia e mi è venuta voglia di approfondirla. Grazie.

  4. Silvia lessio

    7 Febbraio

    Complimenti per l’argomento, ancora molto attuale!

  5. Bianca Bonollo

    8 Febbraio

    Vi consiglio caldamente il romanzo “La passione di Artemisia” di Susan Vreeland, romanzo storico che ricostruisce la vita e la psicologia della pittrice. Bellissimo, da leggere tutto d’un fiato!!!

  6. korapika

    7 Dicembre

    Che bastardi.

  7. alida

    21 Luglio

    Se ne abbiamo fatta di strada, dal tempo delle torture a una donna stuprata, per provare che non accusava falsamente e anche per punirli della complicità…tutto ciò sotto il governo del pontefice! Quindi eravamo molto peggio dei fondamentalisti di oggi!
    Perciò stiamo attenti a non regredire da queste posizioni e ricordiamoci la conquista del 1996.

  8. Lorenzo

    24 Marzo

    Buona sera, è possibile avere gli atti del processo? Ne sarei molto lieto. Ottimo articolo, grazie!

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