La Marie Curie di Alice Milani

C’è una sequenza, all’inizio del nuovo libro di Alice Milani, che rappresenta una svolta per la trama, ma anche per la lettura dell’intera graphic novel: la protagonista dà la buonanotte alla padrona di casa e compiendo in automatico un gesto che deve aver ripetuto mille altre volte sale le scale per andare in camera sua; una volta lì, nella penombra della stanza si siede sul bordo del letto e si abbandona alla complessità dei suoi pensieri – insicurezze e frustrazione muta che noi riusciamo a decifrare grazie ad alcune didascalie “fuori campo”:

Se un tempo ho avuto altri progetti, adesso sono andati in fumo, li ho sotterrati, rinchiusi, nascosti e dimenticati.

Non è difficile riconoscersi in questo sconforto paralizzante, quello che cancella ogni “vorrei” dal vocabolario. Il fatto che questa ragazza arrivata al limite della sopportazione, eppure capace di mascherare il suo conflitto interiore in modo così disciplinato sia Marie Curie, la scienziata due volte Premio Nobel, è ancora più sorprendente.

Marie Curie

Personalità come quelle di Curie sono spesso oggetto di narrazioni roboanti, che utilizzano vocaboli altisonanti e toni concitati per sottolineare che si tratta di ingegni straordinari, di quelli che capitano una volta in un secolo; vite sacrificate in nome della scienza o all’arte, di cui però non ci è dato sapere altro oltre ai premi vinti e alla grandezza delle loro scoperte.

La Marie Curie raccontata dalla fumettista pisana nel suo nuovo libro omonimo, fresco di stampa per Beccogiallo è sì la scienziata rigorosa, devota alle materie che studiava al punto da dedicarvi molte ore del giorno e della notte e persino morirne, di cui potremmo aver avuto notizia nel corso degli anni scolastici passati.
Ma è anche una giovane donna che aveva perso la madre da piccola, viveva in difficoltà economiche, e che quando improvvisamente ha l’occasione per cambiare vita trasferendosi in un Paese diverso da quello di origine, tornando a fare una cosa che prima le era proibita (studiare) la coglie.
Una donna che amava molto – la sua famiglia, la sua patria divisa, la ricerca –, che soffrì anche molto – di depressione – e la stampa non capì mai veramente.

Insomma, il fumetto ha tutto quello che sapevamo di Marie Curie, ma anche tante cose che non sospettavamo.

“Era una donna certamente poco frivola, ma non per questo fredda o insensibile. Quando leggi le sue lettere… cavoli, ci trovi moltissimo sentimento”, mi racconta Milani al telefono, una sera in cui ho l’occasione di poterle fare alcune domande sull’opera e il processo creativo che c’è stato dietro.

Tra le fonti su cui si è documentata per scrivere e disegnare questo libro, ci sono infatti numerose lettere e diari appartenuti a Marie Curie. Pagine personali in cui si rivolgeva alla sorella Bronia, all’amato marito Pierre o all’altro uomo di cui si era poi innamorata, lo studioso Paul Langevin.
Scritti privati, biografie ufficiali e documenti tra cui la stessa tesi di dottorato di Curie (“Si trova online, scansionata; non ho dovuto muovere il culo di casa per avervi accesso. Una fortuna”).

L’autrice sapeva fin dall’inizio che avrebbe voluto raccontare la storia della scienziata in modo diverso rispetto alle tante altre biografie indirizzate al solo pubblico di studiosi o appassionati di fisica, qualcosa che andasse oltre il mero resoconto cronologico di risultati accademici: “C’era talmente tanto materiale che mi sembrava delittuoso non parlare della sua vita privata. Ne ha passate talmente tante, degna di essere un eroina di un romanzo dell’Ottocento, insomma ho voluto lavorare anche su quello”.

La copertina del libro di Alice Milani


Ma dunque, Marie Curie chi era?

Marie Curie, nacque col nome di Maria Sklodowska a Varsavia, nel novembre del 1867 (150 anni fa). In quel periodo la Polonia non era uno stato indipendente: era divisa tra territori di proprietà dello Zar di Russia, dell’Austria e della Prussia. La zona di Varsavia era controllata dai russi, che speravano di poter meglio controllare i cittadini polacchi se questi si fossero allontanati dalla loro cultura nazionale e dalla loro lingua madre: fu vietato parlare, leggere e scrivere in polacco. La scuola andava fatta in russo.

Sklodowska eccelleva negli studi, ma aveva dovuto rinunciare a proseguirli pur essendosi diplomata con lode a 15 anni. Mentre il fratello aveva potuto accedere a Medicina, lei doveva volgere lo sguardo altrove. Accanto alla difficoltà linguistica, dunque, quella di genere: “Le donne potevano studiare, allora, ma non certe materie”, mi racconta Milani, sottolineando le difficoltà che la protagonista del suo libro incontrò nella prima parte della sua vita, “al massimo si concedeva loro di formarsi per diventare istitutrici, non certo ricercatrici scientifiche.” Nel fumetto, il racconto inizia subito dal suo lavoro come governante presso una famiglia facoltosa che viveva in provincia.

Aveva imparato a detestare quel lavoro: lo faceva solo per mettere da parte i soldi necessari per poter raggiungere sua sorella che stava studiando a Parigi.
Leggeva e studiava di nascosto, facendosi aiutare da una rete di studenti e professori che sfidando i divieti russi, garantivano lezioni e laboratori liberi nel finesettimana durante le ore serali. Nel 1891, a 24 anni, riuscì ad andarsene, diretta a Parigi e pronta a varcare le porte della prestigiosa Sorbona. Dopo due anni aveva recuperato ogni lacuna linguistica ed era laureata in fisica… e pronta a conquistare una seconda laurea in matematica.

Pierre Curie

Pierre Curie gestiva il laboratorio dell’Ecole de Phisique et Chimie Industrielle. Quando si conobbero, Maria (diventata nel frattempo Marie) cercava uno spazio e degli strumenti per proseguire i suoi esperimenti; si piacquero immediatamente e l’amicizia sincera che derivò dal loro incontro non ci mise molto a diventare una storia d’amore, alimentata anche dalla comune passione per la scienza: “Erano una coppia molto progressista, moderna. Nessun gioco di potere, si amavano moltissimo ed erano appassionati delle stesse cose. Erano spiriti affini. Non c’erano conflitti tra di loro, le pressioni erano tutte esterne”, mi racconta Milani.

È significativo quindi che siano ritratti assieme, a letto, nella copertina: una scena tenera, di intimità tra due persone innamorate: “La scelta della copertina è stata dura. Non volevo ritrarre Marie in mezzo alle provette del suo laboratorio perché quel tipo di immagini si trova ovunque su Google; cercavo qualcosa di meno stereotipato. Dopo aver fatto il fumetto, la cosa che mi era sembrata più bella era questo rapporto bello che lei aveva col marito”.

Determinata e metodica, intenzionata a mantenere la propria autonomia anche dopo il matrimonio, contrariamente al costume in uso per cui le mogli avebbero dedicato se stesse a casa e figli, Marie decise di dedicare la sua tesi di dottorato alla radioattività, un fenomeno di cui al tempo aveva parlato soltanto un altro fisico, Henri Becquerel.
Nonostante i mezzi rudimentali, con le sue ricerche e il supporto attivo di Pierre (che accantonò un altro progetto per sostenerla), Marie riuscì a scoprire l’esistenza di altri elementi radioattivi oltre all’urania: il Polonio, che battezzò in questo modo per omaggiare la sua Patria e il Radio, di cui riuscì a produrre un decigrammo, lavorando per separazione su tonnellate di un minerale radioattivo chiamato pechblenda.

Al di là di come le descrivo banalmente io, le parti in cui racconta le scoperte scientifiche e la metodologia di studio sono corrette, la terminologia adeguata. Con un approccio kubrickiano, Milani è stata molto attenta a descrivere correttamente le procedure messe in atto dalla protagonista per studiare la materia (“Mi piaceva far veder che lei era una tipa di ingegno e iniziativa. Che aveva trovato un modo per misurare una cosa che nessuno aveva mai misurato. Mi pareva una bella caratteristica per un personaggio”). E il merito è anche del comitato scientifico che le ha offerto un aiuto: i suoi genitori, Anna Nobili e Andrea Milani, rispettivamente professoressa di fisica e professore di matematica all’Università di Pisa.

Gli appunti che si vedono in apertura del libro sono proprio della mamma dell’autrice, peraltro una delle prime ragazze ammesse a studiare fisica alla Scuola Normale Superiore di Pisa: “Stavamo cercando di capire come funzionava la tesi di dottorato di Marie Curie. Mia madre aveva deciso di studiarsela per bene, da sola, e aveva preso una serie di appunti per decodificare il procedimento descritto. Quando ci siamo riviste mi ha spiegato esattamente come funzionava l’esperimento. È come se fossero gli appunti di Curie… Alla fine sono appunti di una scienziata, hanno comunque un loro peso”, aggiunge ridendo l’autrice.

Per le loro scoperte, i coniugi Curie ed Henri Becquerel furono premiati col Premio Nobel per la fisica, nel 1903. Come riporta anche il fumetto, Marie Curie venne citata dalla stampa solo come “assistente”, a margine del nome degli altri due studiosi. Fraintendimenti e microaggressioni che si verificheranno anche anni dopo, quando verrà alla luce la sua relazione con Paul Langevin – all’epoca sposato e padre. Verrà dipinta come sfasciafamiglie e vipera, “la polacca” protagonista di uno “scandalo” epocale, montato ad arte dalla ferita moglie di Langevin, Jeanne.

“Il resoconto di quel processo è complicatissimo, penosissimo”, ammette Milani, che incalzata dalle mie domande aggiunge che di tutta la vicenda si è fatta un’idea sua, forse un po’ romanzesca: “Probabilmente Langevin era anche un brav’uomo, un ottimo scienziato… ma vigliacco. Lei si era innamorata e per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma lui non ha voluto lasciare la moglie. Gli è mancato coraggio, e per lei è stata una grossa delusione. Lei quando si prendeva a cuore qualcuno avrebbe fatto qualsiasi cosa. Il suo amato Pierre questo non gliel’avrebbe mai fatto.”

Marie Curie, dopo la morte improvvisa e tragica del marito, era rimasta in lutto per anni. Depressa e col cuore spezzato, aveva smesso di frequentare i salotti degli amici e si era rifugiata con le due figlie piccole nella solitudine della propria casa – un isolamento che interrompeva soltanto per andare alla Sorbona a gestire la cattedra in fisica che aveva ereditato da Pierre. In Langevin aveva intravisto forse una nuova possibilità affettiva; la delusione dell’ennesimo abbandono fu cocente.
Vincere un secondo Premio Nobel, in un contesto simile fu un sollievo, il giusto riconoscimento per una vita lavorativa impeccabile, che – come disse ella stessa all’Aurivilius – “non ha alcun rapporto con i fatti della mia vita privata”.


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