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Amiche per resistere alla violenza: “Ragazze cattive” di Ancco

Ripensate per un attimo ai tempi della scuola: quali sono le prime cose che riemergono dalla nebbia dei vostri ricordi?

Dai ricordi di Chinju, protagonista di Ragazze Cattive, graphic novel dell’autrice sudcoreana Ancco appena pubblicata in Italia da Canicola, riemergono “notti buie e strani odori”: le notti passate lontane dalla casa dei suoi genitori, e l’odore del sangue fresco delle ferite aperte sulla pelle.

Chinju ha ventisei anni e sta fumando in silenzio una sigaretta sul balcone di casa, ricordando la sua adolescenza vissuta sul finire degli anni Novanta in una Corea del Sud in piena crisi economica. Ci appare come una donna in salute, di bell’aspetto, ma non ci vuole molto a capire che non è la prima volta che si trova a vagare con il pensiero a quando, dieci anni prima, frequentava la scuola e condivideva i suoi turbamenti con uno speciale gruppo di amiche.

La sua adolescenza era scandita da una spaventosa routine di violenze. Nel primo flashback vediamo suo padre che la sta picchiando. Il suo “errore” quello di aver messo in cattiva luce il buon nome della famiglia (“Prima che mia figlia diventi una prostituta, sarò io stesso a venderla in un bordello!” tuona prima di aprirle la testa in due con una racchetta).
Proprietario di una società di costruzioni, il padre era un uomo rispettato che in periodo di crisi aveva dato un tetto a molte famiglie che non potevano permetterselo. Era rispettato a tal punto che se sua figlia si comportava “male”, pure gli inquilini andavano a cercarla per dargliele. Nessuno pensava di esagerare. In quei momenti, ricorda Chinju, era diventata il “tamburo di quartiere”.

Nonostante questa violenza, lei però non odiava suo padre né tantomeno il resto dei suoi aguzzini. Sopportava in silenzio la sua oppressione, uno stato d’essere condiviso da moltissime coetanee, convinta di meritarselo. “Solo ora ho capito che non è necessario picchiare qualcuno se commette uno sbaglio”, dirà la Chinju donna, china sui suoi fogli da disegno, motori della sua vera liberazione (da adulta, si scopre velocemente, è riuscita a perfezionare il suo talento di disegnatrice, diventando una fumettista).

Come ha dichiarato l’autrice, acclamata dalla critica come la nuova portavoce della gioventù coreana, Ragazze Cattive (Bad Friends, nella versione originale) è una storia di finzione dove si sono però riversati alcuni dei suoi ricordi personali. Non c’è corrispondenza del 100% tra personaggi del libro e persone che lei ha conosciuto nella sua gioventù, ma la violenza è uno degli elementi su cui ha lavorato meno di fantasia, anzi forse li ha persino edulcorati: “Ci ho messo del tempo a fare ordine nella mia testa. Immagino che il lettore possa pensare che la mia infanzia sia stata cupa, ma è più complicato di così. Quando vieni picchiato non stai lì a dirti che hai una vita difficile. Ti fanno male le costole, la testa, pensi a curarti. Le mie amiche vivevano la stessa situazione e comunque ci divertivamo… Non ci è mai venuto in mente di chiedere aiuto.”

La violenza (soprattutto sulle donne) è onnipresente e normalizzata, nella Corea che ci racconta Ancco: un Paese che stava attraversando non solo una crisi economica, ma anche una crisi umana dove chi è adulto aveva perso ogni riferimento morale e si rifaceva sul più debole, e il disagio giovanile si traduceva in depressione e alto tasso di disoccupazione. I genitori picchiavano i figli, i professori picchiavano gli studenti, gli studenti più grandi picchiavano le matricole; i ragazzi picchiavano le ragazze che frequentano, in un ciclo di abusi che si ripete all’infinito.

In questo scenario di assoluta oscurità, si muove la gioventù oppressa e silenziosa, fatta di ragazzine che cercano di sopravvivere volendosi bene e condividendo momenti di tenerezza e risate, unite dal desiderio di ribellione e sorellanza.
Ecco che allora a sedici anni Chinju decide di scapparsene via, assieme alla sua amica del cuore Jeong-ae, una ragazzina proveniente da quello che definiremmo un “contesto disfunzionale”: genitori assenti, casa infestata dagli ospiti (tatuatori in uno spazio, giocatrici di carte nell’altro), soldi pochi. Non vi svelo troppo sulla loro avventura, se non che durerà poco, fino al momento in cui saranno costrette a separarsi – tornando ognuna alla propria vita.

Il libro di Ancco non è tuttavia un dramma assoluto, senza via di scampo. L’alternanza di presente e passato consentono di vedere un po’ di speranza alla fine del tunnel. Dopotutto Chinju è una fumettista, con una casa e una discreta sicurezza economica, e un buon rapporto con i genitori: tutto si aggiusta… vero?

In mezzo a tanta brutalità è difficile parlare di privilegi, eppure nelle pause della narrazione sembra che sia proprio questo il punto su cui vuol farci riflettere l’autrice. Chi è riuscito a sopravvivere deve considerarsi fortunato? “Mi vergognavo della mia famiglia, così normale così benestante” pensa Chinju, come se il suo dolore non fosse altrettanto autentico, ma perdesse di gravitas se confrontato con i disagi che sapeva stavano vivendo le sue amiche.

Anche se nelle difficoltà non dev’esserci competizione, poiché ciascuno ha la sua battaglia da combattere e tutte le lotte hanno una loro dignità che merita rispetto, Chinju non può fare a meno di sentirsi in colpa (“Non tutti erano [fortunati] come me”). Come lei, un’altra ragazza cattiva le confesserà molti anni e molti salti di carriera dopo di essersi sentita “uno schifo, per averla abbandonata”. A fronte di certe confessioni, cosa si può fare? Impossibile dare risposta, forse l’unica soluzione è farsi una mezza risata, spostando gli occhi oltre il balcone, per guardare un gatto che si arrampica su un albero.

I used to consider myself to be someone who led a weird, lonely life in Korea. But now I am here. This is, I think, the power of comics.

Ero abituata a considerare me stessa come qualcuno che viveva una vita strana e solitaria, in Corea. Ma ora sono qui. Penso sia questo il potere dei fumetti.

– Ancco, ritirando il Prix Révélation ad Angoulême (2017)

La bravura dell’autrice (il cui nome vero è Choi Kyung-Jin) a mio parere sta tutta nell’aver saputo lavorare sul proprio passato per arrivare a rappresentarlo in modo limpido, diretto e preciso, privo di sbavature e di giudizi morali sui diversi personaggi che l’hanno abitato. Ne esce un quadro ricco di malessere e malinconia, come solo gli spazi vissuti dagli adolescenti sanno essere mentre cercano se stessi e intanto si cacciano nei pasticci peggiori. Leggere queste pagine senza pensare alle proprie amicizie passate, agli errori commessi e i momenti esatti in cui si è capito come fare per continuare a vivere è impossibile. Ragazze cattive (curiosamente, un titolo omonimo al romanzo di Joyce Carol Oates su una gang femminile negli USA degli anni Cinquanta che si vendica contro gli uomini violenti) è una lettura appassionante, dolorosa e amara sulla temporaneità dei rapporti sociali e sugli ostacoli sistemici alla liberazione femminile.

Con questo libro (il terzo, della sua produzione) Ancco ha conquistato il Festival di Angoulême 2017, diventando la prima donna coreana a vincere il Prix Révélation, assegnato ogni anno al migliore autore emergente. In Francia è pubblicata da Cornelius, negli USA da Drawn&Quarterly.

 


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