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Coming out e outing: breve guida pratica per non r...

Coming out e outing: breve guida pratica per non rovinare la vita delle persone

“Coming out of the closet” è un’espressione inglese che significa letteralmente “Uscire fuori dall’armadio”, e che di fatto si riferisce a quella curiosa e ansiogena esperienza del rivelare un nostro segreto a qualcuno. È in gran parte utilizzata per parlare del momento in cui una persona dichiara il proprio orientamento sessuale o identità di genere non conforme, e nel mondo anglosassone è usata anche come metafora per altre cose che si ha paura di rivelare di noi stessi: ad esempio “Ho fatto coming out come vegana/femminista/amante di libri Harmony”.

Badate bene, uscire dal metaforico armadio non è per niente semplice. Nei paesi dove l’omosessualità è reato, fare coming out è un’utopia. In Italia non è più reato, ma in certi ambiti è ancora irrealizzabile (pensiamo al nostro mondo dello spettacolo e al fatto che le celebrità “dichiarate” italiane si possano contare sulle dita di due mani).

La cosa bella (o forse frustrante, dipende dal punto di vista), è che non si finisce mai davvero di fare coming out. Si fa al supermercato, al lavoro, al ristorante, all’ospedale, a pranzo con le trisnonne, al gay pride, in discoteca, sull’autobus, dal ginecologo, dal parrucchiere, a scuola, all’università, e in tutti i circoli sociali che ci troviamo a frequentare nel corso della nostra vita.

Illustrazione di Valeria Santamaria

Non immaginatevi il coming out solo come Ellen Page o Kristen Stewart che annunciano sulla televisione nazionale “Sono gay”; la maggior parte delle volte non serve neanche pronunciare la parola stessa. Alcuni esempi includono: menzionare casualmente che la/il propria/o partner vi ucciderà se non la/lo aspettate per guardare Orange is the New Black; camminare mano nella mano per strada; qualsiasi vostra dimostrazione di affetto in pubblico [1]; andare ad aprire un conto in banca congiunto; fare un apprezzamento verso una persona del vostro stesso genere; proclamare la propria venerazione per Madonna e/o Lady Gaga e/o Beyoncé (per ragazzi), vestire camicie a quadri e avere Carol come film preferito (per le ragazze), e indossare vari capi di vestiario arcobaleno.

Insomma, dopo un po’ diventa quasi un gioco, una gara al coming out più assurdo, più eclatante, più divertente, più indiretto e chi più ne ha più ne metta.

A volte, però, le persone preferiscono non telegrafare i fatti propri agli altri, e il coming out rimane un qualcosa di raro e intimo, fatto con le persone con cui si hanno legami più stretti. Non si può obbligare una persona a fare coming out. Ogni persona lo fa a modo suo, con i suoi tempi e suoi spazi, oppure decide di non farlo, e anche quella decisione, per quanto sofferta, va rispettata.

Per chi di voi si stia chiedendo perché non uso “outing” per variare un po’ nella selva dei “coming out” che ho utilizzato finora nel testo (sappiamo quanto non ci piacciano le ripetizioni in italiano), l’annosa questione è questa: quando una persona rivela l’orientamento sessuale e/o identità di genere di un’altra a terze parti, quello si chiama outing. “Outing” e “coming out” dunque non sono affatto sinonimi.

Fare outing a qualcuno può essere un innocuo pettegolezzo, oppure causa di licenziamento. Per questo è importante, sostanzialmente, tenere il becco chiuso. Non sta a noi decidere quando e come una persona è pronta per essere strappata da Narnia e scaraventata nel mondo reale. Come vi sentireste se il vostro più grande segreto fosse spiattellato ai quattro venti? Forse, in effetti, il licenziamento è il meno, in una scala di disagio e depressione che può arrivare a mettere le persone interessate in pericolo di vita.

Di solito la regola di base è questa: se sapete che una persona è tranquilla e dichiarata a tutt*, allora dirlo una volta in più o in meno non cambia niente. Se invece la questione è incerta oppure la persona è solo parzialmente dichiarata, lasciate perdere e cambiate argomento, datemi retta.

Vi confesso, a me è stato fatto outing. In tal modo, ho perso l’occasione per dire come a mia madre che sono gay, e per questo non potrò mai vincere il premio per miglior coming out alla genitrice.

Ricordate, ogni coming out è unico. Non avrete mai più l’occasione di ammirare le espressioni prese alla sprovvista del vostro interlocutore né di sentire la tachicardia personalizzata in base all’importanza che quella persona ha nella vostra vita. Non rubate questo momento a nessuno, non è carino. Anzi, diciamocelo, farlo sarebbe proprio da stronz*.

 


[1] Se siete ragazze questa cosa potrebbe non sortire lo stesso effetto, a vostro vantaggio o svantaggio.


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  1. Lurkerella

    8 Marzo

    Rivendico il mio diritto di portare camicie a quadri anche se sono etero!

  2. o

    10 Marzo

    Sempre piacevoli da leggere, grazie, ma l argomento per quante cose legga sembra sempre un po campato in aria. Se un* non ha avuto esperienze significative intendo relazioni alla luce del giorno non può pensarsi solo una di queste lettere LGBTE(tero). L omofobia esiste ma lo è anche l estetica di lotta ripetitiva quindi non inclusiva di tante associazioni

  3. Cassandra Gemini

    9 Maggio

    O, potresti elaborare più ampiamente?
    Grazie.

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