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Romanticismo: il coming-of-age di Mary Shelley

Romanticismo: il coming-of-age di Mary Shelley

Il primo romanzo di Mary Shelley, Frankenstein, venne pubblicato nel 1818 quando lei aveva 21 anni. Uscì in forma anonima, ma a causa della dedica a William Godwin presente all’inizio del volume, i critici ritennero fosse opera di Percy Shelley, suo marito (Godwin era padre di Mary Shelley, ma un legame tra lo scrittore politico e il giovane poeta sembrava più sensato, alle masse). Solo con la seconda edizione del 1831, venne rivelato il nome dell’autrice. L’ingenuo commento dei critici a proposito del libro, che stava già vendendo moltissimo, a quel punto fu: “Per un uomo era eccellente, ma per una donna è straordinario!”.

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C’era una volta Villa Belle Rive, residenza settecentesca sul Lago di Ginevra. Quando l’aveva affittata, per sei mesi nel 1816, il poeta inglese Lord Byron l’aveva rinominata Villa Diodati, dal nome dei vecchi proprietari.

Recentemente separato e in difficili condizioni economiche, sul Lago Byron aveva incontrato gli Shelley (Percy Bysshe e Mary, non ancora sposati) e li aveva invitati a trascorrere qualche giorno nella magione dove si era momentaneamente trasferito con l’amico medico John Polidori. Al gruppo si era poi unita anche la sorellastra di Mary, Claire, con cui Byron aveva avuto una relazione a Londra e che ora aspettava un bambino da lui. In seguito Mary definirà quel periodo in Svizzera come il momento in cui passò “dall’adolescenza all’età adulta”.

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Mary Shelley

Quel giugno pioveva di continuo: per tre giorni di fila furono costretti a rimanere chiusi in casa, e rinunciare alle loro amate gite in barca. Per non morire di noia trascorsero il tempo facendo il gioco della fertilità leggendosi storie di fantasmi, tratte da un’antologia tedesca di racconti gotici, Fantasmagoriana, di recente tradotta in francese.

Seduti davanti al fuoco della casa di Byron, oltre a leggere discutevano anche degli esperimenti condotti da Erasmus Darwin (nonno del più famoso Charles) sulla materia morta che sembrava aver saputo riportare in vita, e del galvanismo (all’inizio dell’Ottocento, Giovanni Aldini, nipote di Galvani aveva realizzato degli esperimenti sui cadaveri umani e animali allo scopo di riportarli in vita). Non deve sorprendere il fatto che dopo quelle chiacchiere così spensierate, Mary Shelley ebbe nella notte un incubo in cui vide uno studente che si inginocchiava vicino alla creatura che aveva provato a rianimare e quest’ultima, dopo che un qualche potente macchinario si era messo in funzione, iniziava a muoversi. All’idea che qualcuno potesse esser in grado di sostituirsi a dio, creatore del mondo, Mary Shelley si spaventò moltissimo.

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Vignetta satirica sul galvanismo

Dal momento che gli altri avevano iniziato a scrivere storie “dell’orrore” per mantenere attivo il clima di paura che si era creato nella villa (Polidori scriverà una storia breve intitolata Il vampiro), anche lei provò a tradurre in prosa una storia ispirata al sogno che aveva appena fatto. Ne nacque Frankenstein, allora intitolato Frankenstein; ovvero il moderno Prometeo. Come era successo a lei, anche lo scienziato che porta in vita una Creatura composta di pezzi di cadaveri è sconvolto dalla riuscita del suo esperimento, e se ne scappa via sperando che l’essere sarebbe morto se abbandonato a se stesso. Ma non sarà così, perché invece la Creatura rimarrà in vita, sconvolta dalla solitudine e in cerca di spiegazioni.

Secondo alcune chiavi di lettura, come quella riportata dalla scrittrice Patrizia Carrano nel suo libro Le scandalose (qui il podcast su Mary Shelley), ad ispirare l’autrice furono anche le varie morti che dovette affrontare nel corso della vita, prima tra tutte quella di sua madre, la paladina dei diritti delle donne Mary Wollstonecraft, morta dodici giorni dopo averla data alla luce; quella di sua figlia Clara, nata prematura e morta poco dopo (Mary Shelley avrà in totale quattro figli, gliene moriranno tre). E quella di sua sorella Fanny, che si suicidò dopo aver assunto del laudano. Per la cronaca, anche la figlia di Claire e Byron, Alba (poi ribattezzata Allegra) morirà, di tifo, in un convento dove il padre aveva voluto venisse educata, qualche anno dopo.

Mary Shelley pare raccontare se stessa sia tramite il Dr. Victor Frankenstein (nel romanzo anche allo scienziato muore la madre) che tramite la Creatura: aveva conosciuto infatti sia la forza creatrice, che l’abbandono e la solitudine.

Al di là della componente forse autobiografica, Frankenstein è indubbiamente uno dei romanzi più noti della letteratura gotica, un antesignano del romanzo di fantascienza, che ingloba in sé molti temi cari al romanticismo colorandoli di terrore (e che in questo modo espande le possibilità di entrambi i generi letterari).

La letteratura di quel periodo, contrariamente a quella illuminista che l’aveva preceduta, era interessata ad indagare un nuovo rapporto con la natura e l’immaginazione; spesso l’autore non era distinguibile dal narratore, tanto era personale il modo in cui la ricerca del sublime era raccontata.

Victor Frankenstein (ricordiamoci che a dare il titolo all’opera è lo scienziato e non il mostro) è un personaggio romantico, nel senso che come gli autori romantici anche lui sembra descrivere in modo estatico la sua visione del mondo, il suo approccio alla creazione: i romantici credevano infatti che tramite lo sforzo individuale e collettivo l’immaginazione avrebbe potuto ampliarsi e generare una nuova e più autentica comprensione del mondo, una versione più autentica degli esseri umani e del mondo in cui vivevano. Victor è un romantico perché è un’idealista, le sue preoccupazioni hanno connotati spirituali, quasi mistici. La sua è una romantica ricerca di un’ideale scientifico: l’uomo perfetto. Più che uno scienziato pazzo, Victor è uno studioso appassionato, determinato a portare a termini i suoi ambiziosi studi.
Anche la Creatura prova a spingersi oltre i propri limiti per raggiungere il cosiddetto “sublime”: ma non sa parlare, e fisicamente è limitata nel sembrare umana. “If I cannot inspire love, I will cause fear” è il risultato della sua meditazione, a seguito dei continui rifiuti (e potrebbe tranquillamente essere il motto di tutti i precari di oggi).

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Boris Karloff nei panni della Creatura, nella più famosa trasposizione cinematografica del romanzo: Frankenstein (1931), diretto da James Whale

Sentimenti forti come il fallimento e la vendetta, la necessità di essere accettati e amati, gli eccessi della ricerca scientifica, la solitudine sono centrali nel romanzo di Mary Shelley. L’autrice consente ai suoi personaggi di provare sentimenti profondi e desideri enormi, anche se poi non potranno vederli realizzati. Mette da parte la propria visione del mondo e lascia spazio al lettore di interpretare i risvolti morali, scientifici e filosofici della vicenda narrata.

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Frankenstein è stato scritto duecento anni fa ed è un’opera straordinaria. Non perché l’ha scritta una donna, lo è e basta. Questo mese vogliamo parlare di romanticismo, dei limiti di questa vita e delle aspirazioni che inseguiamo mentre siamo su questa terra. Ci sarà spazio anche per l’amore, per l’amicizia, per l’odio e per l’annientamento. Sarà un mese pieno di passioni e speriamo che abbiate voglia di seguirlo fino alla fine.


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