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La curiosa storia del cambiamento di genere del mi...

La curiosa storia del cambiamento di genere del microonde

In un universo parallelo scevro da patologie patriarcali e beceri razzismi, la capacità di controllare con destrezza una lavatrice o un’automobile dalla grossa cilindrata sarebbero egualmente riconosciute come espressione di competenza tecnica.

Nella realtà, però, esistono gerarchie di competenze tecnologiche, il cui ordinamento riflette il senso comune e gli stereotipi che permeano le nostre società. Se da un lato, infatti, tendiamo ad attribuire delle caratteristiche positive a chi pratica la cosiddetta guida sportiva, dall’altro spendiamo ben poche parole per complimentare chi, entro le mure domestiche, carica la lavatrice e ne imposta correttamente il ciclo di lavaggio.

Nell’utilizzo quotidiano di oggetti tecnologici, esistono procedure considerate più o meno banali. Molto spesso le competenze “banali” sono associate alla sfera femminile, come illustrano da un lato gli eserciti di ingegneri e uomini di scienza che dichiarano senza vergogna di non saper usare la lavatrice, dall’altro gli insulti rivolti agli uomini che guidano in modo incerto o lento, che spesso consistono in formule sessiste e omofobe che implicitamente privano il destinatario della propria mascolinità.

La presunta idea di semplicità che accompagna alcuni apparecchi tecnologici, però, non ci è giunta tramite rivelazione divina. Essa è stata, in molti casi, il risultato di un processo di costruzione simbolica iniziato in fase di progettazione dell’apparecchio, e portato avanti durante la sua commercializzazione.
Pensiamo, ad esempio, a importanti dettagli come il taglio delle campagne pubblicitarie ad esso dedicate e la sua collocazione di un certo tipo di negozio piuttosto che in un altro.

1964

Un caso particolarmente eloquente nella storia degli elettrodomestici è quello del forno a microonde, un apparecchio nato come prodotto “maschile” e, solo in un secondo momento, rivisto e ribrandizzato come “femminile”.

Il suo ingresso sul mercato avvenne nel 1947, nelle vesti del Raytheon “Radarange”. Si trattava di un oggetto concepito per le cucine industriali e per altri contesti il cui la preparazione di pietanze avveniva a livello professionale.

I primi microonde non presentavano la varietà di funzioni tipiche nei modelli attuali. Si limitavano a scaldare il cibo in modo estremamente rapido. Quando iniziarono ad essere venduti ai comuni cittadini, durante la seconda metà degli anni ’60, il target che i produttori avevano in mente era quello dei giovani uomini desiderosi di dedicare il minor tempo possibile alla preparazione dei propri pasti.

I microonde erano presentati come apparecchi hi-tech, estremamente complessi e poco immediati da usare. Non a caso, erano venduti nei negozi di elettrodomestici “maschili”, dove potevano essere acquistati anche impianti hi-fi e telecamere.

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Pubblicità del 1971

Cosa scatenò il cambiamento di genere del microonde? In primis, lo scarso successo commerciale del microonde “maschile” che, soprattutto durante la crisi economica degli anni ’80, subì la forte concorrenza di altri gadget pensati per il pubblico dei giovani uomini, in particolar modo le videocamere. Il cambiamento di target voluto delle industrie produttrici di forni a microonde non si limitò però ad un riassestamento sul fronte pubblicitario. La rappresentazione delle due popolazioni di potenziali utenti erano così diverse che fu ritenuto necessario rimettere mano all’apparecchio, modificandone le funzioni, lo stile dei fascicoli di istruzioni e, infine, le strategie di vendita.

Il nuovo microonde “femminile” non si limitava a riscaldare, ma era anche in grado di arrostire e grigliare. Queste integrazioni furono comunicate efficacemente come punti in comune con altri strumenti già presenti nelle cucine casalinghe. In questo modo, il contenuto tecnologico e oscuro del microonde fu demistificato.

Anche l’interfaccia subì alcune importanti modifiche: l’introduzione di tasti riportanti icone che illustravano chiaramente le funzioni dell’apparecchio ne semplificò l’utilizzo. Infine, i nuovi forni a microonde iniziarono ad essere venduti accanto a prodotti “femminili” come i frigoriferi e le lavatrici.

microonde

La storia del microonde suggerisce che la creazione di nuovi oggetti e il design degli stessi non sia un processo neutro. Alcuni artefatti incorporano un pesante carico di rappresentazioni e stereotipi sui loro destinatari.

Osservando tali processi secondo una prospettiva costruttivista, tecnologia e norme di genere risultano in una relazione di reciproca influenza, in cui la prima è plasmata dalle seconde, e viceversa. In tal senso, chi lavora come designer funge da intermediario culturale, anticipando con le proprie rappresentazioni gli interessi, le competenze e i comportamenti di consumatrici e consumatori futuri. Ciò può contribuire alla sedimentazione di stereotipi di genere, delimitando e definendo l’agency dei destinatari e delle destinatarie del prodotto.

Che ne è stato, quindi, del microonde? Nei negozi di elettronica e di elettrodomestici, è tutt’ora reperibile nei pressi dei frigoriferi e delle impastatrici. Non si è però confermato, nel corso dei decenni, come uno strumento adatto a cucinare pietanze prelibate. Chi ne possiede uno, solitamente, lo usa per scongelare e riscaldare. In tal senso, l’utilizzo più diffuso è ascrivibile a quello anticipato durante la sua prima commercializzazione, quando il consumatore immaginato era un giovane uomo molto impegnato.

La storia del microonde mi è parsa degna di essere raccontata perché può aiutarci a scorgere i modi in cui l’uso di un apparecchio sviluppato in linea con forti prescrizioni genderizzate è stato addomesticato dall’uso quotidiano di consumatrici e consumatori. Tale addomesticamento riflette non solo i cambiamenti culturali che hanno investito la sfera domestica negli ultimi cinquant’anni, ma anche e soprattutto l’impossibilità di creare oggetti che rispondano alle esigenze di un intero monolitico genere.

In tal senso, può essere utile fare riferimento alle parole di Ayah Bdeir, fondatrice di littleBits, l’azienda produttrice dell’omonimo kit didattico per imparare i fondamenti dell’elettronica:

We need to get more girls into technology. We believe this can happen through a gender-neutral product.

 

Fonti:

Nelly Oudshoorn, Ann Rudinow Saetnan, Merete Lie, “On Gender and Things: Reflections on an Exhibition on Gendered Artifacts”, Women’s Studies International Forum 25 (4), 2002

Cynthia Cockburn, Susan Ormrod, “Gender and Technology in the Making”, Sage Publications, 1993


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  1. Rosy

    14 Aprile

    Scusa ma non capisco il problema. A cosa servirebbero dei gender-neutral products? Finché il sesso di appartenenza ti pone in una fascia di mercato diversa, ci saranno sempre prodotti dedicati alla tua fascia e non a un’altra, o viceversa.
    Non è così anche per l’età? Ci sono prodotti per la tua età e per altre fasce di età. E allora?

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