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Lo spettro della schiavitù: Amatissima di Toni Mor...

Lo spettro della schiavitù: Amatissima di Toni Morrison

L’articolo contiene spoiler sul romanzo Amatissima (Beloved)


Beloved è mia figlia. È mia.

886836093_morrison_amatissima.inddCi sono parole che, nella loro semplicità, possiedono una forza evocativa senza pari; nessuno conosce il potere dell’evocazione e dei suoi meccanismi meglio della scrittrice afroamericana Toni Morrison, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 1993.

Morrison era già un’autrice e una professoressa affermata quando nel 1987 scrisse il suo romanzo più importante, intitolato Beloved, che le valse anche il Premio Pulitzer l’anno successivo (a pubblicarlo in Italia fu Frassinelli, pochi anni dopo, col titolo Amatissima). Morrison si ispirò per il suo libro tragico episodio di cronaca accaduto nel 1855, quando una schiava in fuga di nome Margaret Garner uccise la propria figlia per evitare che venissero entrambe catturate.

La protagonista del romanzo, dunque, è una donna di nome Sethe. Sethe è madre e schiava, e come Margaret Garner arriva a uccidere la sua figlia minore per farla sfuggire alla schiavitù. Sulla lapide della bambina, Sethe fa scrivere una sola parola, “beloved”, amatissima.

Dopo questo episodio sanguinoso, arrivato peraltro come culmine di una vita di sofferenza e di privazione, il fantasma della bambina continua a farsi sentire nella casa che Sethe condivide con l’altra figlia, Denver. L’unico in grado di scacciare la presenza della bambina è un altro schiavo, di nome Paul D. Questi pratica una sorta di esorcismo, che libera Sethe dalla presenza della figlia morta e, in qualche modo, anche dei fantasmi del suo passato e si stabilisce in casa con le due donne, senza però conoscere il segreto di Sethe.

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Illustrazione di Norma Nardi

Tuttavia, la vita dei tre viene di nuovo scossa con l’arrivo di una misteriosa ragazza, che si presenta da loro completamente bagnata e si fa chiamare Beloved. Paul D è spaventato da questa presenza, ma Sethe ne è incuriosita sente un legame con lei molto profondo e decide di farla vivere insieme a loro.

L’intreccio narrativo del romanzo è complesso, l’arco temporale in cui si svolge è discontinuo, frammentato (appare come una spirale di racconti), coinvolge molti personaggi secondari, ma soprattutto si delinea come un’opera metaforica che contiene al suo interno una selva di rimandi.

Il primo e il più immediato è quello del rapporto madre-figlia. Sethe è una madre ma è anche una schiava. Sono queste le due condizioni che costituiscono la sua identità e che, contemporaneamente, la negano. La madre desidera una fusione totale nella fase pre-edipica con la figlia: “Io sono Beloved e lei è mia” è la frase che viene ripetuta in un capitolo che viene presentato prima come se fosse articolato in due monologhi distinti, uno di Sethe e uno di Beloved, ma nelle pagine le due voci si uniscono e diventa una sola.

Tuttavia la schiava non ha nessun diritto, nemmeno all’sua identità e meno nemmeno a possedere qualcuno tramite la maternità. L’uccisione della figlia appare come un modo di tutelarla dagli orrori della schiavitù e al contempo diventa una modalità attraverso la quale Sethe si riappropria della sua identità.

Ma la bambina riappare, prima come presenza immanente e poi come fantasma incarnato, spuntato fuori da un fiume. Il fantasma è esso stesso il richiamo a qualcosa che c’è stato e che ora non c’è più, ma che non si può dimenticare o si ripresenterà, e ciò vale tanto per una figlia morta prematuramente tanto per la schiavitù stessa, che il mondo ha il dovere di ricordare, anche a costo di soffrire.

La bambina, Beloved, torna quindi uscendo dall’acqua. Questo è un richiamo alle decine di milioni di africani morti durante il Middle Passage – cui il libro è dedicato – cioè il “passaggio di mezzo” degli schiavi dall’Africa all’America, attraverso l’oceano Atlantico. Il numero di morti all’interno delle stive negriere, e poi abbandonati nel mare, non è mai stato definito con precisione dagli storici.

Lo spettro di Beloved che viene fuori dall’acqua è lo spettro della schiavitù e di quei milioni di morti. Questo passaggio colpisce per la sua straordinaria attualità, ponendo problemi che si ripropongono pressoché identici nel tempo, facendo emergere aspetti troppo spesso sacrificati in nome di un cinico pragmatismo razionale.

Inoltre, rimanda ad un altro dei temi fondamentali del romanzo, cioè il concetto di confine. Il confine va inteso sia come confine spaziale (le descrizioni degli spazi angusti cui gli schiavi erano costretti rimandano alla cupezza della casa in cui Sethe vive, il 124 di Bluestone Road, conosciuto da tutti e da tutti evitato), che quindi va abbattuto e superato, ma soprattutto come linea di demarcazione tra l’autonomia e l’assoggettamento, come capacità di riconoscere se stessi dagli altri e che quindi va difeso, costi quel che costi.

Paul D, cercando di allontanare la presenza della bambina in casa, vuole segnare un confine, vuole impedire che sia qualcun’altro, o qualcos’altro, a decidere delle loro vite. Rappresenta anche il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che nell’immaginario magico afroamericano è sfumato, poiché si ritiene che tra queste due sfere vi sia una comunicazione costante.

Il personaggio di Beloved non ha età, non ha linee sulle mani (come viene ripetuto a più riprese) e nemmeno lineamenti definiti, rappresenta appunto una figura che si colloca in uno spazio intermedio, aggirando i confini. La sua presenza si configurerà presto come una vera e propria invasione: Beloved chiederà a Sethe sempre di più, fino a riassorbirla completamente, per certi versi coronando quella fantasia di fusione che la madre aveva provato nei suoi confronti sia quando era in vita sia quando decise di ucciderla.

Le ultime righe del romanzo ripercorrono tutte le metafore utilizzate, poiché, come si legge:

Col tempo, ogni traccia scompare, e ciò che è dimenticato non sono solo le impronte ma anche l’acqua e quello che c’è in essa. Il resto è atmosfera.

L’atmosfera è appunto quella di una polarità continua tra la presenza e l’assenza, tra la necessità di muoversi verso il futuro e l’impossibilità di dimenticare.


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