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Pubblicità gay friendly ed eteronormatività

Pubblicità gay friendly ed eteronormatività

Da alcuni mesi, pare che anche in Italia siano state “sdoganate” le pubblicità “gay friendly”. In prima serata, su reti nazionali, possiamo assistere alla preparazione della cena da parte di una famiglia di soli uomini, alla nascita di una bimba con due mamme, a momenti di intima tenerezza fra due ragazze. I pubblicitari si sono “accorti” che esiste un pubblico omosessuale o semplicemente il mondo gay è entrato a far parte dell’immaginario familiare italiano al punto di poter diventare oggetto di “desideri narrati” condivisi da tutti?

Facciamo prima un passo indietro. Nel 2009 la Renault, per pubblicizzare l’uscita della nuova Twingo, progetta una serie di video sketch con lo slogan “Vivi il tuo tempo”. Il più discusso mostra un ragazzo in auto con alcuni amici che si accosta ad una fila di drag queen pronte ad entrare in un locale. Il giovane, dopo aver osservato per qualche istante il gruppo esclama “Papà!” e alla reazione di vergogna del genitore risponde con un “Ci fai mettere in lista?”.

2011: il noto marchio di gomme da masticare Vigorsol propone al grande pubblico un video nel quale un padre rivela al figlio di essere sua madre e il figlio a sua volta rivela di essere un burattino. Le pubblicità provocarono malumori non solo nel mondo etero, ma anche nella comunità trans. La figura della persona trans riceveva infatti la “patente” per la prima serata, ma solo in virtù della vis comica che piccole scenette a tema ambiguo potevano utilizzare per catturare l’attenzione degli annoiati telespettatori e dei delatori, perché – nel mondo del commerciale è più che mai vero – bene o male “l’importante è che se ne parli”, anche quando si tratta di accese polemiche.

Alcuni mesi fa compare invece in prima serata la nuova pubblicità della Findus. Interno, una cucina, due voci maschili e una femminile si alternano. Nell’inquadratura solo i busti dei cuochi e le mani che presentano i piatti commercializzati. Il racconto è semplice: una coppia omosessuale, il classico invito a cena della mamma da parte di uno di loro, una discussione sul risotto come pretesto per un cominig out facile facile nel quale la madre sembra più sorpresa della qualità straordinaria del primo piatto piuttosto che dell’orientamento sessuale del figlio. Non c’è nessuna tensione, nessuna problematicità (come fra l’altro il mondo della pubblicità richiede): tutto si svolge in modo ordinato all’interno di un mondo che potremmo definire ideale.

Si scatena il dibattito sull’opportunità della scelta del grande marchio alimentare, un dibattito che arriva a coinvolgere un gigante quale Barilla che, nella veste di uno degli eredi, debitamente pungolato sul tema durante un’intervista radiofonica, dichiara il deciso rifiuto da parte del brand di promuovere prodotti utilizzando negli spot protagonisti gay. Le polemiche si scatenano da entrambe le parti e il colosso della pasta è costretto a fare pubblica ammenda, mentre il re dei surgelati gode del privilegio di essere stato il primo a scatenare il polverone.

In realtà la prima pubblicità con protagonisti gay era stata firmata nel 2011 da IKEA: uno spot “misto”, il cui punto di forza risiedeva nel messaggio di libertà e apertura alle infinite possibilità del mondo. IKEA però non fa testo, per quanto il format proposto ricordi incredibilmente da vicino quello dei materassi Doleran, altro marchio impegnato nella corsa verso il gay friendly. Insomma, fra uno stacco pubblicitario e l’altro forse siamo arrivati ad una maggiore apertura commerciale al mondo omosessuale, ma in che modo questo universo viene rappresentato?

I gay delle pubblicità sono perfette realizzazioni del modello “desiderabile” eterosessuale: la loro vita sentimentale è felice, corredata da pasti in famiglia e suocere compiaciute, viaggiano sempre in coppia, sorridenti e sereni, si sistemano e mettono su famiglia, come nella recente pubblicità a firma Vodafone. Non incontriamo persone gay che rivendicano uno spazio per le proprie passioni personali, persone gay che diventano oggetto di identificazione estetica o che propongono una loro personale visione del mondo. Un mondo che, per forza di cose (storia, discriminazioni subite, necessità di creazione di una comunità valoriale autonoma) è spesso “altro”. Questo non vuol dire ovviamente che le persone omosessuali non possano rappresentare, e desiderare di rappresentare, esattamente quei modelli eteronormativi cementati come felici nell’immaginario collettivo da generazioni. Suona però sospetto che, in un epoca di forte mutamento nella struttura del “desiderabile” pubblicitario (pensiamo alla rivoluzione in casa Mulino Bianco, dalla famiglia sorridente a Banderas sexy panettiere), le pubblicità meno “innovative” e più tradizionali sembrino proprio quelle gay friendly.

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Questo non avviene soltanto in Italia. La recente pubblicità del marchio Tiffany ha creato non poco dibattito per la scelta di dar corpo nell’immagine di due giovani uomini all’idea di unione “santificata” dall’anello al dito. E se parlare di matrimonio gay per pubblicizzare un prodotto di gioielleria pare una scelta quasi obbligata, molto meno vincolata è la decisione di Renault di inscenare – per quanto attraverso uno sviluppo narrativo più elaborato e meno scontato – un perfetto matrimonio tradizionale con “marito e marito”, fra l’altro non più giovanissimi, all’altare.

La famiglia tradizionalmente gay è al centro anche della nuova campagna di Nikon. Lo storico marchio giapponese ha infatti proposto una campagna virale interamente dedicata alla famiglia omosessuale. Due giovani padri afroamericani e i loro figli vengono seguiti, scatto dopo scatto, nella loro vita quotidiana, fra colazioni e codini, compiti a casa e corse in giardino.

Le persone gay sono anche questo. Le persone gay non sono solo questo. Sembra quasi che per rendere accettabile la presenza omosessuale all’interno del settore commerciale sia necessario “rassicurare” il pubblico eterosessuale. Sono come noi, vogliono esattamente quello che vogliamo noi, non mettono nulla in discussione, a volte non si rivelano nemmeno. Non sto parlando della polemica sollevata da alcuni circa la mancanza di un “volto” nella pubblicità della Findus (ricordiamoci che anche nell’eterosessualissima pubblicità con protagonista una famiglia felice le sole parti del corpo inquadrate sono le mani che maneggiano i piatti), ma della facilità con la quale avviene l’assimilazione. La comunità eterosessuale, obiettivo ambito, unica vera meta da raggiungere, fagocita l’immagine “anomala” della persona omosessuale per trasformarla in qualcosa che “a vederla davvero non si direbbe”. Questo mondo dove i gay si confondono con gli etero, dove non ci sono conflitti, dove non c’è alcun uso dell’ironia (molto utilizzata invece in altre situazioni da spot commerciale) ricorda molto da vicino le rassicuranti réclame con la mamma intenta a preparare il pranzo alla famiglia o preoccupata di smacchiare a fondo la camicia del marito. Le pubblicità hanno sdoganato le persone omosessuali in prima serata condannandole però alla schiavitù dell’eteronormatività. La cancellazione delle differenze in favore di una rassicurante egemonia culturale difficilmente arriva a segnare la svolta.

“Vedete? Sono come noi” è una frase che troppo spesso ha appianato le differenze, scavando però voragini culturali e solitudini identitarie.


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  1. Valeria

    11 Marzo

    Secondo me queste critiche sono esagerate in quanto non tengono conto che la pubblicità va avanti per sterotipi in qualunque ambito. Tutti i bambini sono belli, preferibilmente biondi e felici, tutte le donne sono entusiaste di pulire casa e cucinare, sono tutte giovani, magre e belle, tutti gli uomini sono giovani, muscolosi, volitivi, e forti, tutte le famiglie sono felici. Per non parlare della razza: sono tutti, sempre ed esclusivamente, bianchi.
    La pubblicità è quello che è.
    Non ci si può aspettare l’analisi di un modello, la proposizione di alternative e varietà: non è il compito della pubblicità. La pubblicità non ha neppure il compito di dire la verità sul prodotto che pubblicizza, come possiamo pretendere che la dica sul contesto in cui il prodotto viene utilizzato?
    Un conto è battersi contro pubblicità palesemente offensive o sessiste, battaglia giusta e sacrosanta, ma aspettarsi dalla pubblicità una riflessione su come la coppia omosessuale e l’omosessualità può essere diversa da quella etero francamente mi pare assurdo.
    Trovo invece molto positive queste pubblicità perchè era davvero ora che tra le varie coppie (stilizzate, idealizzate e normativizzate) ci fosse anche quella omosessuale: allarga l’immaginario collettivo, perchè la si vede.
    Tra l’altro, cosa ci sarebbe di male in un mondo in cui gli omosessuali si confondono con gli eterosessuali senza conflitti? E’ un mondo che attualmente, purtroppo, non esiste, ma trovo che sia un mondo molto auspicabile: la preferenza sessuale come fatto privato, che non incide nei rapporti pubblici e sociali. Ma magari! Trovo molto più bello da vedere questo che non la mamma che corre a destra e a sinistra (sempre e solo la mamma, of course) felicissima del suo ruolo di tuttofare e che si concede una pausa con una merendina, l’unica (la merendina) che la capisce davvero.

  2. Paolo

    11 Marzo

    sono nella sostanza d’accordo con Valeria. A parte il fatto che aspettarsi rappresentazioni problematiche da uno spot pubblicitario Findus che quasi da statuto tende a offrire immagini rassicuranti ed edulcorate di ogni cosa, è assurdo, vorrei anche rilanciare: proprio perchè l’amore è lo stesso, perchè mai una coppia dello stesso sesso non può essere “tradizionale” come una etero? Certo che può esserlo. “Vedete, sono come noi” non è “eteronorma” ma è la realtà: sì i gay sono come noi, l’amore gay è come quello etero nel bene e nel male (l’unica cosa che cambia sono i giudizi e i pregiudizi della società), i gay possono essere monogami o pro coppia aperta, promiscui, fedeli o fedifraghi esattamente come gli etero, possono avere unioni di coppia felici o infelici o anche tragiche, possono essere sereni o problematici, possono sognare il matrimonio con lo scambio dell’anello oppure fregarsene proprio come le persone etero.
    in questa polemica vedo la divisione che fatalmente attraversa ogni movimento di emancipazione, da quello operaio, a quello femminile a quello degli afro-americani: è la divisione fra i Martin Luther King e i Malcolm X, tra socialdemocratici e rivoluzionari, tra in definitiva coloro che vogliono integrarsi nella società in cui vivono rivendicando gli stessi diritti civili e politici e migliori condizioni di vita e coloro che la società vogliono sovvertirla..insomma da una parte il professor Xavier e dall’altra Magneto, ora io personalmente preferisco i seguaci di Xavier ma il punto è un altro: il professor Xavier e Magneto e i rispettivi seguaci possono anche combattere alcune battaglie insieme contro nemici comuni, ma sono destinati a dividersi poichè i loro obiettivi finali sono diversi per non dire opposti

  3. caterina bonetti

    14 Marzo

    Io penso che invece sia importante fare una distinzione (pur nel contesto pubblicitario che,condivido quanto dice Valeria, è forzatamente stereotipato e limitante). Non è vero che siamo tutti uguali. Le storie sono diverse, i percorsi sono diversi. Uomini e donne non sono uguali, non solo da un punto di vista dei diritti (non faccio tutto lo “spiegone”), ma perché hanno alle spalle una storia e un vissuto che non è “uguale”. Neri e bianchi non sono uguali: considerare chiusa, ad esempio, la questione post coloniale con un bel “eh…è stato nel passato, ora siamo uguali” nega l’evidenza di un portato culturale “altro”, che carisicamente riemerge (ed è normale), a livello culturale. Gay ed etero non sono uguali per una banale ragione: gli eterosessuali hanno calpestato per anni l’identità gay, i diritti, la “supposta uguaglianza” di chi era considerato “diverso” e per questo perseguitato. Oggi in Italia è ancora così in molti contesti. Come si fa a pensare che “vada tutto bene” perché “siamo uguali”? L’assunto è positivo e io di certo non mi batto per un sovvertimento degli standard sociali. Penso solo che questa sia l’ennesima riproposizione di un cliché. Tanto quanto quello della mamma felice che scorrazza cantando mentre si barcamena fra spesa e lavori di casa. Non dico che non siano un fenomeno positivo per quanto riguarda la rappresentazione, ma che ci si debba interrogare e si debba problematizzare la questione del come vengono rappresentate queste coppie.

  4. Skywalker

    14 Marzo

    Si però qui c’è un errore di base: applicare l’etica alla pubblicità. A volte penso che certi articoli qui su SR siano volutamente provocatori. Forse sbaglio a reputarvi più intelligenti della norma, ma davvero Caterina mi stai dicendo che non sai che i vari spot hanno dei vincoli commerciali? Ovvero che se sono Findus e ho pagato uno spazio pubblicitario 20 mila euro per il passaggio su Rai 1 dopo il TG di punta, quando so che a quell’ora si riunisce la famiglia davanti la tv, ti devo vendere i 4 salti in padella anche se è un prodotto per single benestanti che non vogliono andare tutte le sere al ristorante. Ci siamo? Modifico il prodotto in base al target di quell’ora. Il tuo discorso non ha proprio senso. È come lamentarsi degli spot delle auto durante le partite di Champion perché “non solo gli uomini comprano auto, anche le donne”! Ma certamente! Solo che ti vendono lo stesso prodotto in 2 modi diversi :). Era ora che la pubblicità normalizzasse la famiglia gay! Ma come, non volevano proprio questo? Ovvero essere ridotti ad un tipo di famiglia di ideale, quella della Mulino Bianco, che anche gli etero sanno che non esiste?

  5. Paolo

    14 Marzo

    non voglio negare i vissuti diversi, nè la discriminazione storica cui sono stati e sono in parte ancora soggette le persone gay, e sarebbe assurdo negare che queste discriminazioni influiscono sul loro vissuto, voglio solo dire che al netto dell’edulcorazione pubblicitaria non è sbagliato raccontare coppie gay serene o problematiche, felici o infelici, “tradizionali” o meno. La realtà è non solo ma anche questo.

  6. Caterina bonetti

    16 Marzo

    Ehm…Skywalker per forza sono provocatori. Se no avrei fatto una comunicazione di servizio stile ANSA. La premessa è che ci sono delle regole nella pubblicità e che le pubblicità sono fatte per attirare l’attenzione degli acquirenti su un prodotto. Lo si può fare però in diversi modi. Quando Benetton ha deciso di far baciare un prete e una suora nella sua campagna di sicuro non l’ha fatto per essere “espulso” dal mercato. Chiariamoci ci sono pubblicità che vanno “oltre” il cliché (per provocare, per far discutere, per far parlare perché “bene o male purché se ne parli”) e pubblicità che seguono lo stereotipo. La mia riflessione era su come le pubblicità gay friendly AD OGGI in Italia appartengano alla seconda categoria e cosa questo comporti nell’immagine/immaginario del mondo gay dal punto di vista mainstream. “Tutto qui”.

  7. Paolo

    16 Marzo

    le coppie gay sposate sono realtà in molti paesi, non un clichè. Poi la pubblicità con un target “per tutta la famiglia” le mostra in maniera edulcorata come fa con tutto.

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