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Le MGF e diritti delle donne in Africa

Le MGF e diritti delle donne in Africa

Qualche tempo fa è circolata per la rete la notizia dell’abolizione istituzionale delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) in Nigeria; istituzionalmente il nuovo pacchetto leggi è stato approvato il 5 maggio di quest’anno, ma molti articoli a riguardo sono comparsi in Italia alla fine dell’estate. Di tutte le cose che sono state dette – soprattutto sulla tutela dei diritti delle donne e delle bambine, sull’integrazione socio-culturale, sul progresso – una parola potrebbe riassumerle tutte: finalmente.

Questo è il tono della maggior parte degli articoli che ho letto: che fossero di costume, storici, politici o medici, erano esultanti per questo nuovo capitolo della storia nigeriana e probabilmente africana. Ho letto tante descrizioni esaustive di cosa siano le MGF, che ramificazioni abbiano, le innumerevoli complicazioni mediche; ho spesso visto citato l’iter burocratico dell’approvazione della legge italiana contro le mutilazioni e lesioni genitali. Il nome di Emma Bonino e della sua campagna sono comparsi molte volte negli articoli italiani, così come le innumerevoli organizzazioni europee che promuovono campagne contro le MGF che già in precedenza avevamo citato.

Tuttavia, raramente ho letto un resoconto di come si sia arrivati a tutto questo in Africa. Perché dietro ci sono dei nomi e dei movimenti che vale la pena ricordare – e supportare nel loro lavoro futuro. Movimenti che non hanno certo intenzione di fermarsi qui.

Mi sembrano utili due precisazioni: la prima è che le MGF non sono legate a nessuna religione in particolare; vengono giustificate tramite tradizioni religiose ma sono diffuse in comunità cristiane, musulmane e ebraiche. La seconda è che è stato spesso osservato che dal punto di vista antropologico sarebbe più corretto usare il termine più neutro di “modificazioni” genitali femminili (noi useremo l’acronimo MGF, che vale per entrambe).

Nella storia degli studi antropologici per molto tempo c’è stata una tendenza ad additare usi e costumi estranei a quelli occidentali come negativi, primitivi e barbari: oggi si cerca almeno dal punto di vista accademico di esprimere un’imparzialità scientifica nei giudizi e nelle terminologie. Per questo, se seguite i link sopraccitati, potrete trovare delle menzioni di questa problematica ed espressioni di condanna, non della cultura, ma sicuramente dell’atto in sé.

Io su questo sono d’accordo. E per questo penso che sia necessario parlare dei movimenti interni alle culture stesse; perché solo in quei casi le campagne hanno avuto successo.

Già da tempo le MGF sono illegali dal punto di vista istituzionale in molti dei paesi in cui sono diffuse, come il Burkina Faso, la Costa d’Avorio, la Guinea, la Mauritania e così via. Questo video del 2009 ci mostra, ad esempio, come il Mali – che non ha legislazioni contro le MGF – sia diventato un’isola per gli esecutori (più spesso esecutrici) di queste pratiche, e per le famiglie che vogliono sottoporre le figlie ad esse. A oggi in Mali non esiste una legge contro le MGF. Il video è stato creato per una campagna di Equality Now, che, dal 1992, si occupa di coordinare i piccoli e grandi movimenti contro le MGF che popolano questi paesi (oggi l’organizzazione si è ampliata prendendo a cuore numerose altre campagne, come quella contro il traffico di donne per la prostituzione).

Fra i partner figura il nome della keniota Agnes Pareyio, chiamata anche “la donna con la vagina di legno” per via della scultura anatomica che usava nei primi anni di attivismo per spiegare il funzionamento dei genitali ai propri uditori.

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Agnes Pareyio

Pareyio è fondatrice e direttrice del Tasaru Girls Rescue Center, centro che si occupa, ad esempio, di celebrare dei riti femminili alternativi alle MGF o delle dichiarazioni pubbliche di passaggio alla vita adulta. Si sono rivelati particolarmente efficaci proprio grazie al loro “inserimento” culturale non invasivo. Il Kenya ha passato una legge contro le MGF nel 2011.

O ancora, la somala Waris Dirie, modella di fama internazionale, portò le MGF sotto i riflettori in un’intervista a Marie Clare nel 1996 e creò la Desert Flower Foundation, che si occupa soprattutto di insegnare alle donne cosa significa dal punto di vista anatomico e medico sottoporre le figlie alla pratica delle MGF.

UN ambassador Waris Dirie from Somalia poses during a press conference about the 7the edition of the "Cinema for Peace" gala on the sidelines of the 58th International Berlinale Film Festival on February 10, 2008 in Berlin. AFP PHOTO DDP/ MICHAEL KAPPELER GERMANY OUT (Photo credit should read MICHAEL KAPPELER/AFP/Getty Images)

Waris Dirie a Berlino, nel 2008. (Photo credit MICHAEL KAPPELER/AFP/Getty Images)

Ma anche la dottoressa gambiana Isatou Touray, direttore esecutivo del GAMCOTRAP, Comitato sulle pratiche tradizionali che riguardano la salute di donne e bambini in Gambia (paese che, come il Mali, non ha leggi contro le MGF): grazie al suo lavoro di sensibilizzazione delle famiglie e dei circoncisori di professione, la percentuale di bambine sottoposte a MGF in Gambia sta nettamente diminuendo.

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Isatou Touray

Equality Now ha anche prodotto un documentario di un’ora, Africa Rising: un viaggio in Burkina Faso, Mali, Somalia, Kenya e Tanzania per osservare i piccoli movimenti contro le MGF e le loro conquiste. Se, però, volete fare questo percorso in maniera più narrativa e forse più piacevole, guardate questo film del senegalese Ousmane Sembène: ha vinto il premio Un certain regard al 57° Festival di Cannes.

Se poi non vi fidate della giuria del Festival di Cannes, fidatevi di me, vi assicuro che è bellissimo.


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