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La figura femminile nei manga: gli anni ’70 di Lady Oscar

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La figura femminile è da sempre di estrema rilevanza nella storia del fumetto giapponese. Molte persone in Italia sono cresciute guardando i primi shōjo anime giapponesi trasmessi in Italia, in cui la ragazza o donna, che sia strega, aliena, robot o semplice liceale, spicca per forza e risolutezza.

Lo shōjo (in giapponese “ragazza”), come lo josei (“donna”), esistono ormai da un secolo e sono tipologie di manga indirizzati a un pubblico femminile, rispettivamente giovane e adulto. Le tematiche trattate nello shōjo sono molteplici, ma con un’attenzione particolare al vissuto psicologico ed emotivo dei personaggi: solitamente la figura femminile è al centro della narrazione, spaziando nella caratterizzazione del personaggio, dalla studentessa di un normale liceo giapponese all’eroina di un’epoca fantastica.

Il genere shōjo nasce all’inizio del ventesimo secolo ed esplode negli anni cinquanta con le opere di Osamu Tezuka, il quale viene considerato ancora oggi il manga no kamisama, “dio dei manga”. La prima figura femminile a dare vita a uno shōjo ricercato è proprio la protagonista del manga La Principessa Zaffiro (Ribon no kishi, 1953), figlia del re di Silverland, costretta a vestirsi da uomo per ereditare il trono che le spetta.

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La Principessa Zaffiro di Osamu Tezuka

La ragazza di giorno gioca la parte del principe, legittimo erede al trono di Silverland, mentre di notte si fa paladina in maschera per combattere il male. Tezuka infatti, pur essendo un uomo, è stato il primo a raccontare nel manga l’eroina che si fa strada in una società maschilista di dimensione fantastica, metafora di quella che era la società nipponica all’epoca.

Quello che è importante sottolineare è che a partire da Tezuka fino agli anni settanta il ruolo di mangaka era prettamente maschile, e anche gli stessi josei o shōjo manga erano creati e disegnati da uomini, seppur indirizzati alle ragazze e donne di tutto il Giappone.

La svolta avviene nei primi anni settanta con l’avvento del Gruppo 24, un gruppo di mangaka donne, chiamato così perché nate tutte intorno all’anno 24 dell’era shōwa, ovvero nel 1949.

L’esplosione degli shōjo manga negli anni settanta, in cui il genere femminile sboccia e si libera dalle ingombranti tradizioni imposte alla donna nella società giapponese di quel periodo, è il risultato della dura lotta di queste nuove mangaka per l’indipendenza e l’emancipazione femminile.

Le più conosciute sono Moto Hagio e Keiko Takemiya, le quali hanno contribuito anche alla nascita dello shōnen’ai – “ragazzo”e “amore” in giapponese – ovvero il manga di genere romantico-omosessuale.

Ma la pioniera assoluta dello shōjo, anche lei parte del Gruppo 24, è indubbiamente Riyoko Ikeda, autrice di Versailles no bara del 1972, più conosciuto in Italia come Le rose di Versailles, poi trasformato nel famosissimo anime Lady Oscar.

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Lady Oscar di Riyoko Ikeda

Versailles no bara rappresenta in tutto e per tutto il manga di rottura tra l’epoca mangaka maschile e quella femminile. Il contesto storico ben preciso come quello della rivoluzione francese nel 1789, lo spostamento geografico dal Giappone all’Europa, la ricerca di un amore vero seppur proibito e i sogni di libertà contro una società rigida e conservatrice sono tutte innovazioni a livello tematico che hanno influenzato e che influenzano generazioni di autrici ancora oggi.

L’elogio dell’eroina combattente prende forma con Versailles no bara in modo più vero e deciso. Lady Oscar dice: “Quello che voglio non è un compagno di giochi, ma di spada.” Ma quello che fa di Lady Oscar un personaggio femminile autentico è la coscienza del proprio essere donna, una maturità di spirito che mancava alla figura ingenua di Zaffiro e che la rende uno dei simboli più noti del primo femminismo giapponese.

La stessa Ikeda ha dichiarato durante un’intervista:

Quando ho scritto Versailles no bara era sicuramente difficile per una donna, e particolarmente per una donna in Giappone, guadagnarsi da vivere da sé. C’erano resistenze da parte degli uomini. Anche nel mondo dei mangaka, la retribuzione delle donne, a parità di carriera e pubblicazioni era la metà. […] Una donna che raggiungeva una condizione più alta di un uomo veniva osteggiata. Mi è capitato di avere telefonate di insulti di uomini nei miei confronti.

Parlando dell’editore di Versailles no bara, dice:

Mi disse chiaro e tondo che mi avrebbe pagato la metà di quanto guadagnava un autore uomo. Io mi lamentai e lui candidamente mi spiegò che lo faceva perché se un suo autore avesse deciso di metter su famiglia avrebbe dovuto mantenere la moglie, se invece mi fossi sposata io, a me avrebbe pensato mio marito. […] Cominciando a immaginare Lady Oscar ero sicura che la storia di una ragazza che aveva sacrificato la sua infanzia e i suoi sogni avrebbe colpito il cuore di tutti. In particolare in Giappone cominciarono a identificarsi con Oscar le donne osteggiate sui posti di lavoro, anche oggi succede e mi sorprende.

Così come Lady Oscar, altri shōjo di quegli anni quali Candy Candy (Kyandi Kyandi, 1975) o il successivo Georgie! (Jōjī, 1982), non solo segnano il debutto delle primi autrici donne nel manga, ma rappresentano anche a pieno, sia nella ricerca estetica che nelle tematiche trattate, l’inizio di un primo femminismo in Giappone e di una conquista femminile dell’emancipazione contro il modello di donna casalinga o quello della Ōeru, più conosciuta come “Office Lady”.

 


FONTI:

Alle origini dello shojo manga: la principessa Zaffiro
Lucca 2014: Alle origini dello shoujo manga, conferenza AnimeClick.it
The Godfather of Anime, Osamu Tezuka
“Le Rose di Versailles”, il manga originale da cui è tratto “Lady Oscar” tra femminismo e censura
Romics 2010: Intervista a Ryoko Ikeda (Lady Oscar)


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  1. anna

    17 Giugno

    Non sarebbe il caso di inserire le fonti bibliografiche in questo genere di articoli? Se ci sono e mi sono sfuggite, scusate!

  2. SoftRevolutionZine

    19 Giugno

    Arriva alla fine della serie 🙂

  3. Maddalena

    23 Giugno

    Complimenti per l’articolo, anzi gli articoli visto che ho appena letto anche quello sugli anni ’90.
    Davvero un tema poco esplorato in Italia dove spesso il fumetto giapponese è targato come “una bambinata” se non peggio. Le figure femminile dei manga sono davvero interessanti e straordinariamente distanti dai nostri stereotipi di eroine occidentali.
    Visto che arriverà la bibliografia a fine serie mi permetto di suggerire lo stupendo volumetto di Mario A. Rumor “Come bambole” che approfondisce le dinamiche sociali, relazionali ed estetiche dello shojo manga senza dimenticare il suo aspetto di vero e proprio businnes che ha cambiato intere generazioni di giapponesi.

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