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Di giovinezza e precarietà: traslocare ogni sei me...

Di giovinezza e precarietà: traslocare ogni sei mesi

Alla fine dello scorso luglio il mio stage a Parigi è finito. Dopo qualche vano tentativo di trovare un altro lavoro lì che fosse contemporaneamente 1) pagato, 2) (un minimo) stimolante e 3) (un minimo) coerente con i miei studi, mi sono rassegnata a impacchettare tutta la mia vita ancora una volta e partire per Londra. In sette anni, contando soluzioni provvisorie e settimane passate sul divano di qualche amico, era all’incirca il mio quindicesimo trasloco.

Il mio primo trasferimento era stato per fare l’università, dalle colline genovesi verso Pisa, ed era stato meraviglioso ed esaltante. Ero finita in uno studentato onestamente proprio squallido, ma avevo una stanza tutta per me, una finestra che guardava il fiume, un’indipendenza che non avevo mai avuto, e mi sentivo talmente bene che non mi importava niente dei muri scrostati, dei mobili brutti, del fatto che non avevo una cucina, e nemmeno dell’anta dell’armadio che mi era cascata sulla testa rischiando di farmi molto male.

Sette anni e quindici traslochi più tardi sono esausta, e vivo in una condizione schizofrenica per cui ciclicamente guardo verde d’invidia il frullatore di mia madre quando torno a trovarla (ci puoi fare il guacamole! e il mio amatissimo pesto genovese! e quello trapanese! e la salsa di noci!), per poi ubriacarmi con alcol pessimo per convincermi che no, non vuol dire che sto invecchiando e soprattutto che no, non vuol dire che sto diventando ciò che, quindicenne e coi capelli verdi, disprezzavo più di ogni altra cosa al mondo: una borghese che ha bisogno di un frullatore per essere felice.

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Illustrazione di Ilaria Grimaldi

Spostarsi spesso da una città all’altra porta molta ricchezza al proprio vissuto, e un’infinità di difficoltà: pratiche (chi ha provato la gioia di cercare casa o di aprire un conto in banca all’estero mi capisce), affettive (relazioni a distanza, migliori amici a ore di aereo), fisiche, emotive. Qui trovate qualche banale consiglio pratico che potrebbe permettervi — con uno sforzo relativamente piccolo — di migliorare la qualità della vostra vita:

1. Ci sono oggetti che , sono un po’ ingombranti e no, non sono strettamente indispensabili, ma, a seconda dei vostri gusti e delle vostre priorità, migliorano sensibilmente la qualità della vita. Va bene cercare di viaggiare leggeri, e va bene l’aureo principio di ridurre sempre le valigie al minimo indispensabile, ma almeno due o tre di quegli oggetti portateveli. Per me, nel caso non fossi già stata abbastanza chiara, uno di quegli oggetti è il frullatore. Ma solo perché a me piace mangiare, per qualcun altro potrebbe essere, per esempio, un ferro per farsi i ricci.

2. Decorate e personalizzate la vostra stanza, sempre, anche se ci starete per un tempo breve tipo un mese. Sono un paio d’ore ben investite, che vi permetteranno di sentirvi da subito in un posto più vostro. Io mi porto dietro una scatola piena sempre delle stesse foto, cartoline, e biglietti, che appendo ovunque mi trovi.

3. Nei limiti delle scarse finanze con cui si devono fare i conti (perché sennò, cosa mi state leggendo a fare?), cercate di non fare, per avarizia, rinunce che peggiorano la qualità della vita per un guadagno minimo. Continuerò con l’esempio della cucina, visto che ormai si è capito qual è il mio passatempo preferito (per i meno attenti: mangiare): la bilancia da cucina, che è fondamentale per affrontare qualsiasi ricetta e ottenere un risultato che non sia solo uno spreco di tempo, cibo e denaro. Visto che una bilancia (scarsa) costa cinque euro, è il tipico oggetto che, quando devi andartene e hai molte valigie (guardaroba estivo + guardaroba invernale + lenzuola/asciugamani & co. + libri + frullatore), decidi di lasciare al proprietario di casa — o di regalare a un amico se il proprietario è particolarmente pessimo. Ecco, sicuramente ti senti un po’ idiota a comprare la quarta bilancia da cucina, però il mio consiglio è: mettetevi l’anima in pace e rifate questi piccoli acquisti senza pensarci troppo.

P.S. Ce l’abbiamo tutti ben presente, vero, che questi “problemi” sono niente rispetto a quelli di tutte quelle persone che stanno scappando dalla Siria, vero? Che noi abbiamo il privilegio di avere un tetto sopra la testa e di poterci rifugiare dietro la rassicurante etichetta di expat, invece di essere pensati e pensarci come migranti? Che fare ironia e riflettere sulla nostra condizione è salutare, ma a patto che serva a farci sentire più prossimi a chi sta messo molto peggio di noi, vero? Ok.


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  1. giulia

    13 Novembre

    Apprezzo tantissimo e guardacaso ne parlo a mia volta qui:)
    http://giuliadicarta.blogspot.it/2015/11/la-stanza.html

  2. Jessica

    13 Novembre

    Anch’io ho tanti traslochi alle spalle, la cosa del frullatore mi ha fatto sorridere!Dopo otto anni in giro, dopo un po’ che abitavo in una delle case più “definitive”, la prima cosa che mio padre ha chiesto se mi servisse è stata proprio il frullatore 🙂

  3. sara

    13 Novembre

    Che bell’articolo! Nel corso di 3 anni ho dormito in 4 camere da letto diverse e durante l’ultimo trasloco, per natale, mia mamma ebbe la splendida idea di regalarmi proprio un frullatore :’)

  4. Martina

    16 Novembre

    Bell’articolo davvero. Ironico ma anche riflessivo su una comune condizione di movimento perpetuo 🙂

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