Come e perché tenere un bonsai

Il mio primo incontro con i bonsai è stato all’età di dieci anni. Al tempo le pianticelle miniaturizzate non si trovavano in tutti i vivai ed erano un oggetto di un certo pregio. Alcune scriteriate colleghe di mia madre avevano deciso di donargliene uno in occasione (credo) del suo compleanno. La piantina era stata doviziosamente innaffiata per settimane, ma il costante ingiallimento delle foglie e l’aspetto sempre più rachitico l’avevano fatta declassare a “pianta da bagno”. Collocata sul mobiletto dei medicinali la poveretta era riuscita a sopravvivere per qualche tempo per poi perdere tutte le foglie e passare a miglior vita. Il fatto non aveva rivestito grande importanza, ragion per cui tutti furono piuttosto stupiti quando incominciai a coltivarne uno personale pochi anni più tardi (ma non abbastanza tardi da poter attribuire il fatto alla moda nippofila che ancora impera oggidì).

bonsai_bomboniera

Ora potrei provare a giustificare il mio amore per i bonsai con mille motivazioni filosofiche: “la cura e l’impegno richiesti per la sua coltivazione arricchiscono lo spirito”, “la concentrazione e la pazienza aprono la mente”, “la perfezione di un albero trasformato in opera d’arte fa assurgere lo spirito alle più alte vette”. Sarebbero sciocchezze.

Prima motivazione: i bonsai fanno pena. È innegabile che, quando li vediamo tutti arruffati sugli scaffali di un supermercato o in una serra, il pensiero corre alla miserevole vita che hanno condotto fin da germogli per diventare un prodotto da banco. Orribile cosa farli marcire o seccare sotto la luce di un freddo neon, meglio portarli a casa! E qui nascono i primi guai. I bonsai da banco infatti vengono venduti privi di qualsiasi indicazione riguardante la manutenzione, l’esposizione, la specie arborea di appartenenza. Quindi o si ha la fortuna di incontrare un bonsai di essenza locale, oppure si corre il serio rischio che il poveretto venga gestito male e muoia.

In molti poi pensano che i bonsai siano tutti da interno: errore. Come per le piante “formato standard” anche i bonsai richiedono un ambiente specifico per il loro corretto sviluppo. Poste in ambiente ostile muoiono. Per aggiungere ulteriori ed emozionanti gradi di difficoltà all’attività del bonsaista, le piccole pianticelle, anche se da esterno, non sempre possono restare fuori all’addiaccio tutto l’anno. Alcune possono stazionare sul davanzale (se correttamente illuminato e protetto), altre richiederanno una rete anti-uccelli protettiva, altre ancora di svernare, almeno nei mesi di maggior rigore, nell’atrio di casa o sul ballatoio.

Come si fa a sapere se la pianta richiede questo trattamento? O si trova una guida online (e questo presuppone che si conosca l’essenza arborea d’appartenenza) oppure si va per tentativi. Nella maggior parte dei casi il bonsai, manco a dirlo, muore. Il bonsai da banco inoltre viene spesso “forzato” nello sviluppo per essere pronto in tempi compatibili con la grande distribuzione. Ciò significa che in molti casi la pianta viene capitozzata alla buona e legata con del fil di ferro che si conficca lentamente nella corteccia, arrugginendo. Il processo di legatura infatti è lento e laborioso e richiede ore di sistemazione, finitura e soprattutto controllo.

La pianta deve piegarsi pian piano, senza essere soffocata dalla gabbia metallica. Nel migliore dei casi i bonsai “a basso costo” presentano dei piccoli solchi lungo la corteccia che possono “infettarsi” con funghi e parassiti e portare alla morte. Nel peggiore hanno ancora “addosso” l’imbracatura metallica e devono essere liberati a suon di cesoie. Oltre a rischiare il tetano, si rischierà, in questo come in mille altri casi, che il bonsai muoia nell’operazione o a causa di una rottura del tronco oppure per i funghi di cui sopra.

Come avrete notato questo pezzo è costellato di termini mortuari; vi chiederete allora come mai, superato il momento di pena iniziale, una persona s’incaponisca nel voler acquistare e coltivare bonsai.

Seconda ragione: i bonsai sono belli. Un davanzale ornato di bonsai è, a colpo d’occhio, assai accattivante e, a differenza di fiori e cactus, ha l’aspetto di un vero e proprio giardino. Per chi vive in città, e non possiede un terrazzo o un altro grande spazio all’aperto, i bonsai sono una buona risposta al desiderio di natura. Anche se di naturale hanno ben poco e bisogna sempre ricordarsene.

Il bonsai ha bisogno di molte cure: non può essere dimenticato per una settimana e quando si parte per le vacanze è assolutamente necessario affidarlo alle cure di qualcuno. Possibilmente senza spostarlo (il bonsai richiede fiducia nel prossimo e in particolare nel prossimo a cui si lasciano le chiavi di casa).

Terza ragione per coltivare bonsai: la soddisfazione di vedere “maturare” un progetto a metà fra l’artistico e l’arboreo. Il bonsai non si coltiva semplicemente, si plasma. Si sceglie il vaso in base allo sviluppo che si vuole dare alla pianta, si pota e lega secondo stili particolari, si decide la dimensione che dovranno avere le foglie. Tutto questo potrebbe costarvi una fortuna in attrezzature apposite oppure, come nel mio caso, un discreto sforzo creativo per l’adattamento di strumenti inusuali ad uso bonsaistico (ad esempio le classiche forbicine per le unghie sono perfette per la potatura di fino. Costo complessivo 3 euro VS 20 di una forbice per bonsai).

Arrivati a questo punto non mi sento di demotivarvi ulteriormente grazie ad una carrellata dei principali parassiti che possono infestare le vostre pianticelle. Mi limito dunque a consigliare, ai pochi valorosi che vorranno cimentarsi in questa attività, alcune essenze da esterno particolarmente coriacee: ligustro cinese, cotoneaster, acero rosso. E non fidatevi degli “innocui” bonsai di ficus ginseng: costano pochissimo a scaffale, ma pian piano vi svuoteranno le tasche in manutenzione.

Immagine tratta da: lombardiplants.it


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