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Il compositore è entrato nel fuoco: di artisti e d...

Il compositore è entrato nel fuoco: di artisti e disturbi mentali

Nell’immaginario popolare è consuetudine che le biografie di pittori, scrittori e poeti vengano rappresentate come un distillato del binomio “genio e follia”. Le vite degli artisti non sono mai, per definizione, noiose, ed è bene che il pubblico sia consapevole dei privilegi (pochi) e dei tormenti (infinito + 1) che una simile scelta di vita comporta. Mi sovviene per prima cosa l’immagine di Nicole Kidman-Virginia Woolf in una scena del film di The Hours, che si aggira nel suo studio come un uccello selvatico rinchiuso in gabbia, preda dei deliri originati dalla sua mente.

Potrei elencare tanti altri film che presentano le illustre figuri di artisti come anime dannate, rinchiuse in manicomi, vittime di alcolismo, dipendenza da droghe e violenza di vario genere, e non c’è niente di peggio per generare un senso di intolleranza verso quello che appare come un becero cliché.

La verità è che gli artisti, quelli riconosciuti come tali e quindi anche i grandi nomi dell’arte, della musica e della letteratura, hanno una notevole tendenza verso quella che ora viene chiamata sindrome maniaco-depressiva, altresì detta disturbo bipolare. Il fatto è comprovato da diversi studi psicologici, effettuati su analisi biografiche, sui carteggi e sulle opere stesse, che affermano un tasso di incidenza di disturbi mentali superiore del 30 percento rispetto a un campione di persone comuni. Questa stretta relazione tra creatività e psicopatologia non è quindi l’invenzione di qualche sceneggiatore per rendere più romantiche le vite dei talentuosi, ma è un fardello reale che l’attività artistica comporta.

artisti e disturbi mentali

Curious cat, illustrazione di Sylvia Plath

La convinzione che genio e follia siano legati strettamente fra di loro ha origine già nei miti greci, con la figura di Dioniso, Dio del caos e della creazione che da esso scaturisce, oltre al concetto di “ispirazione” creativa concessa dalle Muse, le divinità protettrici delle arti. Non a caso, quella delle muse e dell’ispirazione è una metafora presa continuamente in prestito dagli artisti che vivono la malattia mentale.

Il nesso è ripreso nelle riflessioni dei filosofi greci, Socrate e Platone in primis. “Non esiste grande ingegno in cui non vi sia un po’ di pazzia” è la frase attribuita ad Aristotele, su cui ritorna nel trattato La melanconia dell’uomo di genio: “Perché tutti gli uomini eccezionali, nell’attività filosofica o politica, artistica o letteraria, hanno un temperamento melanconico?”. Ciò che Aristotele riconosce come melanconia è forse assimilabile a quella che oggi chiameremmo depressione. È solo con il romanticismo che si radica l’idea comune della follia che accompagna la vita degli intellettuali e gli artisti. Così la cultura popolare di cui siamo intrisi veicola una correlazione ineluttabile tra il carattere della persona di arte e la malattia mentale.

Il saggio Touched with fire di Kay Redfield Jamison si prefigge di presentare la correlazione non casuale tra i caratteri artistici e i vari disturbi che interessano la salute mentale. Jamison, psichiatra anch’essa affetta da disturbo bipolare, illustra numerosi studi che, applicando criteri diagnostici scientifici, riscontrano livelli di malattia e suicidi superiori alla media della popolazione “non-artista” nell’ordine di 30 e 50 percento.

La malattia riguarda artisti di qualsiasi tipo, da scrittori, a pittori, compositori ma in particolar modo i poeti. Gli esempi di Byron e Shelley occupano interi capitoli del saggio per analizzare non solo i componimenti (elemento già sufficiente per ricavare dei dati sulla diagnosi del poeta) ma anche elementi di biografia e, soprattutto, la genealogia. Valutando certi fattori esterni che potrebbero affliggere la salute mentale dei poeti, gli studiosi hanno notato come chi fa arte come mestiere sia costretto a sfidare le convenzioni sociali e ignorare il giudizio altrui. Ciò significa più stress, che porterebbe a un’alta incidenza di malattie mentali.

È interessante notare come studi successivi rivelino che esiste una tendenza particolare laddove si tratti di poeti, e ancora di più se i poeti sono donne. Sylvia Plath, Virginia Woolf (che non era autrice di poesia, ma la cui prosa se ne avvicina) e Anne Sexton, sono citate da tutti questi studi per i loro tratti maniacali e le conseguenti crisi depressive che le colpivano a ondate. Questi tratti comuni portarono lo psicologo James Kaufman a studiare e nominare il fenomeno “The Sylvia Plath effect”.

Nel romanzo The Bell Jar, numerosi sono i passaggi che raccontano della perdita di lucidità, e riflettono tutti l’esperienza personale dell’autrice, persino quelli ambientati all’internamento nella clinica psichiatrica, compreso il trattamento con elettroshock. Generalmente parlando, studi hanno dimostrato che le donne hanno tassi di malattia mentale superiore agli uomini. Sin dalla prima adolescenza attraverso l’età adulta, le donne sono esposte quasi il doppio alla depressione.

artisti e disturbi mentali

“The Bell Jar” illustrazione di Sylvia Plath

Un’opera a fumetti di recente uscita, Marbles di Ellen Forney, parla esattamente della frattura interiore tra il desiderio di guarigione e la paura di perdere il proprio genio creativo in seguito all’assunzione di farmaci (come il litio). La distorsione nella percezione comune è che la follia o comunque uno stato mentale instabile, sia lo scotto da pagare per mantenere alti i propri livelli produttivi in ambito creativo. Ma è davvero necessario sacrificare il benessere per mantenere il proprio talento?

Il disturbo bipolare si lega tanto strettamente al lavoro creativo quanto lo può minacciare: i periodi di depressione alternati a quelli di mania rendono particolarmente difficile essere costanti e lucidi, perché la malattia investe non solo l’umore ma anche la natura e il contenuto del pensiero. Comunque l’attività creativa non costituisce necessariamente l’origine del male, quanto una cura. Proviamo a pensarla all’opposto: cosa sarebbero stati questi artisti senza il loro mezzo espressivo? E se fosse stata proprio l’arte a permettergli di vivere più a lungo di quanto avrebbero fatto senza?

Il rapporto di questi artisti con la propria malattia in certi casi sembra senza scampo. Se c’è chi è vittima di un periodo storico in cui non esistevano cure per porvi rimedio, tanti altri sono stati spaventati dall’assumere psicofarmaci per paura di perdere quella fiamma creativa. Plath, che convisse sin dall’adolescenza con questo disturbo, non fece in tempo a beneficiare delle cure farmacologiche prescritte da un amico medico, poiché si uccise nel suo appartamento di Londra, in cui viveva con i suoi figli piccoli. Dai Diari, ci viene lasciata questa sua riflessione:

“Quello che mi spaventa di più, credo, è la morte dell’immaginazione. Quando il cielo là fuori è semplicemente rosa e i tetti semplicemente neri: quella mente fotografica che paradossalmente dice la verità sul mondo, ma una verità senza valore. È questo spirito sintetizzante che io desidero, questa forza ‘plasmante’ che germoglia prolifica e crea mondi suoi con più estro e fantasia di Dio.”

*”Il compositore è entrato nel fuoco” è un verso della poesia Il bacio di Anne Sexton


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  1. Paolo

    23 Settembre

    molti artisti (non tutti) hanno sofferto di disturbi mentali o dipendenza da alcool e droghe (Stephen King ha parlato con spietata sincerità del suo passato di alcolista e tossicodipendente in On Writing) e i film giustamente lo raccontano ma non credo che questo fosse costitutivo della loro creatività o perlomeno è difficile dirlo..io sono dell’idea che sarebbero stati artisti anche senza

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