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“Transparent”, ovvero la serie sulla f...

“Transparent”, ovvero la serie sulla fragilità umana

È molto difficile parlare obiettivamente di qualcosa che ci ha colpito molto. Se poi si tratta di una serie che dipinge con delicatezza tratti del carattere umano in cui noi stess* ci rispecchiamo, l’impresa è ancora più ardua.

Mort è un professore universitario in pensione. Una casa in stile Frank Lloyd Wright, l’insegnamento ormai alle spalle, tre figli adulti che sembrano aver imparato ad affrontare il mondo da soli. Insomma, per Mort Pfefferman questa dovrebbe essere l’età in cui ogni sera si va a letto tirando un sospiro di sollievo, potendosi dire che tutto è al proprio posto. Ma è esattamente in questo momento che decide di fare i conti con un “piccolo” aspetto del passato che ha volutamente messo da parte. Sceglie così di confessare all’intera famiglia di sentirsi da sempre donna.

L’occasione in cui stabilisce di parlare ai figli della sua vera natura è una normale cena. Qualcosa però va storto: una volta appurato che il capofamiglia non ha alcun annuncio nefasto da dare (tutti pensavano ad una malattia), i figli ritornano a parlare dei loro affari, liquidando con poche frettolose parole il padre, che rimane passivo spettatore dell’egoismo della prole. E così che da una una “perfetta” riunione di famiglia all’americana, a Mort capiterà di apparire come Maura – nome che decide di assumere per il suo nuovo sé – nelle più bizzarre e inaspettate occasioni.

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Maura (l’attore Jeffrey Tambor)

Prodotta dagli Amazon Studios, Transparent è quindi la toccante storia di un coming out rimandato per troppo tempo, nella vana speranza di trovare così un mondo più maturo. Mort, una volta deposta l’armatura da patriarca, si mostra per quel che è: una persona fragile a cui sembrano mancare le parole e la forza per rivendicare il proprio diritto ad esistere.

Nonostante la serie giri attorno all’argomento annunciato dal delicatissimo titolo, le dieci puntate di Transparent traboccano di temi e storie collaterali, ognuno dei quali meriterebbe un articolo a parte.
Transparent abbonda di personaggi con un tratto psicologico molto complesso, individualisti sì ma tutti più o meno vittime di sovrastrutture sociali o ruoli autoimposti.

Troviamo Sarah (Amy Landecker), che riesce a trovare il coraggio di andare a vivere con la compagna dopo anni di matrimonio con suo marito; Josh (Jay Duplass) in perenne astinenza di amore; Raquel (Kathryn Hahn) una rabbina che sembra essere troppo moderna per il suo ruolo.
Un discorso a parte merita, per la sua unicità, il personaggio di Ali (Gaby Hoffmann) ultima figlia di Mort. Decisa ad iscriversi ad un corso di Gender Studies, Ali si ritrova spesso sola ad affrontare il difficile ruolo di ragazzaccia… etero. Difficile perché deve sempre giustificare il suo preferire abiti comodi e capelli corti di fronte a chi, facendo una comoda equazione, preferisce classificarla come lesbica. Dalle discussioni con il padre e i potenziali partner sessuali, Ali purtroppo deduce l’informazione sbagliata: quella di dover cambiare il suo aspetto esteriore per essere accettata come donna eterosessuale.

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L’aspetto più interessante dei personaggi di questa serie è la sospensione delle maschere: la casalinga non è conservatrice e classica donna di casa, ma lesbica e perfettamente in grado di parlare ai propri figli del genitore transgender; la guida spirituale della comunità ebraica riesce a distinguere la tradizione dalla religione, nonché a battersi perché la sua vita sentimentale non venga minacciata dal suo essere rabbina; l’uomo in carriera dipendente sì dal sesso ma con un disperato bisogno di affetto.

La serie nasconde, inoltre, una sorpresa per chi è musicalmente rimasto affezionato agli anni ’90. Sebbene in un ruolo – per il momento – abbastanza accessorio, è interessante trovare nei panni di Syd (la migliore amica di Ali) la cantante delle Sleater-Kinney, Carrie Brownstein.

C’è poi un ultimo pregio: quello di avere un cast dove anche attori e attrici trans sono stati inclusi per volontà della creatrice, Jill Soloway. In un 2014 durante il quale si è dibattuto a lungo sul ruolo di Jared Leto in Dallas Buyers Club, fa piacere vedere una Alexandra Billings nel ruolo di Davina, la “guida spirituale” di Maura, che ha raccontato di aver esordito al provino, dicendo: “Voglio essere chi sono nella realtà” (qui l’intervista rilasciata a The Guardian).

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Alexandra Billings (a destra)

Dopo tanti elogi dal punto di vista visuale e didascalico, ecco finalmente un neo: alcuni filoni narrativi sembra siano stati tagliati con l’accetta. A parte il brusco cambiamento di un’attrice e un attore dalla puntata pilota al resto della serie, si ha l’impressione che alcuni argomenti siano stati penalizzati da un montaggio frettoloso. Insomma, una tale imprecisione non ce la si aspetterebbe da una serie che riesce a catturare gesti che durano pochi millesimi di secondo, come uno scambio di sguardi e un brusco silenzio. Che dire, riponiamo le speranze nella seconda serie, in attesa di completare il puzzle.


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  1. Paolo

    6 Gennaio

    Credo che un attore cisgender possa comunque interpretare in maniera credibile un personaggio trans come un attore etero può interpretare un gay e viceversa. L’importante è avere attori credibili per i propri personaggi.

    La serie in questione deve essere interessante.Capelli lunghi o corti, l’orientamento sessuale e l’identità di genere (femminile in questo caso) non dipende strettamente da quello, oggi

  2. Paolo

    7 Gennaio

    insomma capelli lunghi o corti, una donna etero (o di qualunque orientamento sesuale sia) resta tale e il problema è di chi non lo capisce. scusate l’ovvietà

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